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31 mag 2019

Valle d'Aosta in rosa

di Luciano Caveri

Vale la pena di partire da una simpatica annotazione di un ciclista del passato, Fiorenzo Magni: «I ciclisti sono un po' come gli alpini: quando si lotta insieme rimane un legame fortissimo per tutta la vita. Poi basta un fischio e ci si ritrova tutti». Come tanti valdostani - oltre alla grande platea televisiva e radiofonica - mi godrò il "Giro d'Italia" con la tappa da Saint-Vincent a Courmayeur. Il "rosa" colorerà quel nostro percorso montano, che esalterà la straordinaria altimetria della Valle con cinque "Gran premi della montagna" ed i corridori ad arrancare su salite importanti. Colore che si deve ad Armando Cougnet (origine valdese?), che fu il primo organizzatore del "Giro d'Italia". Nel 1931 ebbe l'idea di introdurre una maglia che andasse a individuare il leader della corsa, sapendo che "Tour de France", aveva già scelto il giallo.

"Maglia rosa" in omaggio alla "Gazzetta dello Sport", il giornale che da sempre organizza la corsa a tappe, noto agli sportivi come la "rosea" per via della carta su cui si stampa. Ho avuto conferma dal mitologico Cesarino Cerise, che è stato molte volte speaker ufficiale del "Giro" (oggi c'è il cognein Paolo Mei), che la Valle ha avuto: ventisei arrivi in otto località e ventitré partenze da cinque località. Cinque tappe sinora sono state interamente valdostane (1959, 1962, 1970, 1985, 1987) e proprio Saint-Vincent - per via del "Casinò" - è stata da sempre la località più gettonata come presenze. Il corridore che ha più primeggiato è stato il grande Eddy Merckx con tre volte a braccia alzate al traguardo in Valle. Annotazione curiosa: un solo valdostano di origine toscana, Osvaldo Bassi, classe 1939, partecipò ad un "Giro d'Italia", esattamente nel 1964 e la sua esperienza finì in ospedale in Liguria alla diciassettesima tappa per una commozione cerebrale dopo una caduta. Io ricordo di essere stato spesso spettatore di queste gare nel loro passaggio valdostano ma anche in televisione. Una manifestazione che ha sempre avuto un ampio seguito popolare ed erano - lo dico con mestizia - tempi in cui non ti trovavi, ex post, a piangere su campioni che finivano poi nei guai per il "doping", che in verità è un flagello di questo sport fin dai tempi in cui il "nostro" Maurice Garin vinse il primo "Tour de France" nel 1903. A lui, che immagino ringrazi dal cimitero di Sallaumines nel Nord della Francia dov'è sepolto, viene dedicata la tappa valdostana di questa edizione del "Giro". Da ragazzino conoscevo nomi e caratteristiche dei ciclisti e d'estate sulle piste di sabbia (forgiate con il sedere, se opportunamente trascinati) si combattevano battaglie epocali con le biglie, come facevo con mio cugino Luca, io con la biglia di plastica con la foto di Felice Gimondi, lui con quella di Gianni Motta. Quando c'era il passaggio del "Giro" in Valle mi piazzavo davanti a casa mia, a Verrès lungo la circonvallazione, prima aspettando la "carovana" con lancio di gadget verso il pubblico in un crescendo di clamore da circo fra auto e furgoni, poi con il passaggio sullo stradone dei ciclisti, sempre in gruppo e con una velocità che li concedeva alla vista, con una certa delusione, solo per un attimo fuggente. Ha scritto su questo Alessandro Baricco: «Andare a vedere il ciclismo è una cosa che se ci pensi non ci credi. Stai sul bordo di una strada, aspetti, aspetti, poi ad un certo punto arrivano, come una ventata colorata, i ciclisti, e ti strisciano negli occhi. Se non sei sullo Stelvio è una faccenda di trenta secondi. Hai il tempo di dire arrivano e già li vedi di schiena. Vabbè che è gratis ma ammettere che è uno spettacolo paradossale. Eppure strade piene, quando passano quelli paesi interi usciti di casa a vedere e plaid sull'erba, thermos, radioline, giacche a vento e la rosea aperta alla pagina giusta per leggere i numeri dei ciclisti e sapere chi erano. Una festa». Già, una festa!