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12 apr 2019

Brutta storia il tirare a campare

di Luciano Caveri

Non ho grandi certezze di questi tempi in Politica, se non beninteso - altrimenti vagherei nel buio - conservo le mie convinzioni più profonde che riguardano la Valle d'Aosta e quanto ci sta attorno, visto che non viviamo in una bolla di sapone che ci isoli dal resto del mondo. Convinzioni dinamiche nel tempo, perché società e circostanze cambiano e solo un cretino potrebbe pensare che tutto sia rimasto come quando cominciai ad occuparmi della "Cosa pubblica" prima come cittadino e poi come eletto ed ora di nuovo come cittadino. Se si considerasse l'Autonomia come un idolo intoccabile saremmo vittime di superstizioni, invece tutto muta e bisogna tenerne conto. Qualcosa però resta sempre uguale ed oggi, con maggioranze politicamente diverse a Roma e ad Aosta, c'è però un'assonanza nel nome di un vecchio vizio della Politica. Mi riferisco allo stranoto e molto praticato "tiriamo a campare".

L'espressione deriva dallo sforzo di restare vivi sul campo di battaglia, maledizione che ha accompagnato i nostri nonni e i nostri padri, specie in quelle due Guerre mondiali che hanno cambiato grandi cose e che avrebbero dovuto insegnare all'umanità tutti i rischi connessi. Uso il condizionale purtroppo non a caso. "Tirare a campare" assume poi - fuori dal campo bellico - diversi significati, tra i quali spiccano "vivere stentatamente, con pochi mezzi, dovendosi accontentare di lavori precari, saltuari o mal pagati" oppure "accontentarsi della propria situazione sperando in futuri miglioramenti". Ma in realtà ci avviciniamo al punto con "cercare di andare d'accordo con tutti per evitare fastidi o problemi" o anche "non intervenire nelle cose lasciandole andare così come vanno, senza tentare di modificare una situazione". Svetta, come migliore spiegazione in politica, la sintesi sardonica di Giulio Andreotti: «Meglio tirare a campare che tirare le cuoia». Ecco: questo è quanto avviene a Roma con il Governo Conte, sin dal titolare di Palazzo Chigi, quel Giuseppe Conte, messo lì come controfigura dei veri titolari, Matteo Salvini e Luigi Di Maio con quel Governo giallo-verde ormai al limitare della crisi di nervi. Le liti sempre più profonde per posizioni profondamente diverse mostrano il rischio di vivacchiare nel nome del "tiriamo a campare", che in questo caso finisce per essere un perenne tiro alla fune per vedere se e quando andare a votare per fregare (scusate il verbo) l'alleato ormai sempre più avversario in vista delle urne. Questa sorta di paralisi, che non fa bene a nessuno, vale a maggior ragione in Valle d'Aosta d'Aosta sotto la guida (si fa per dire) dell'attuale presidente valdostano Antonio Fosson, che venendo da una passata militanza democristiana, che è utile per compromessi arditi, cerca - "tirando a campare" - di far sopravvivere una maggioranza eteroclita, anch'essa in vista di possibili elezioni con l'area autonomista che sembra ormai nelle mani di chi gioca con il "piccolo chimico" senza visioni che non vadano più in là della propria sopravvivenza personale o di ambizioni molto umane ma di corto respiro. Oltretutto in un clima d'assedio delle Magistrature con alcuni in campo che temono - tornando al linguaggio guerresco - ferite gravi se non mortali a colpi di sentenze. Alcuni già le hanno subite, ma si fa finta di nulla e par di capire che, così facendo, è come ritenere che le condanne non esistano! Una rimozione sospetta. In certi casi la maggior dimostrazione di coraggio, ad Aosta come a Roma, sarebbe quella di staccare la spina.