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19 mar 2019

Montagna, morte e poesia

di Luciano Caveri

Uno ha un bel da raccontare su questa storia dell'alta quota e del rischio di chi sceglie l'alpinismo come mestiere, ma credo che ci siano da rimarcare due elementi: la passione che divora chi cerca nuove sfide e anche - perché non dirlo? - la spinta di sponsor che cercano la prestazione estrema come chiave di successo di certi prodotti. Per ognuno esistono proporzioni diverse, restando il fatto certo che, pensando ai due alpinisti morti giorni fa sul Nanga Parbat (Daniele Nardi e Tom Ballard) su di una parete "impossibile", i commenti, senza troppe mezze misure, oscillano fra chi capisce e giustifica e chi non capisce e condanna, e questo vale per chi è digiuno e commenta così e chi, invece, del mestiere prende anch'esso possesso di una delle due parti della scacchiera. Ma questi ragionamenti sono in fondo privi di quella parte di avventura, persino di poesia, di chi sceglie di sfidare le cime, senza una ragione apparente, seguendo il filo logico delle proprie speranze ed affermazioni. Per questo mi permetto di citare in toto Altitudini.it e lo scritto, pieno di immagini e con citazioni ad hoc, di Vittorio Giacomin, che ci fa entrare in una dimensione differente: «E' quando cammini su quella morena che senti il trascorrere della vita, la forza della natura, il ribollire della vita, il tutto in divenire. Sotto i tuoi piedi tutto è instabile, transitorio, passeggero. Vivi il tuo passo all'interno di una cornice meravigliosa che non riesci a capire se sta tra il sogno e la realtà perché a tanta fatica corrisponde altrettanta felicità e bellezza. Solo l'incedere del passo regola il tuo tempo e il tuo respiro e ti aiuta ad entrare in una dimensione estranea alla quotidianità».

«E' come se ad un certo punto ti accorgessi che ti stai staccando dallo spirito del tuo tempo così frivolo, piatto e privo di esperienze - continua Giacomin - per entrare in una dimensione nuova; che stai per iniziare una battaglia che non è contro qualcuno, ma che mira solo a te, perché come dice Camus, "l'uomo è straniero anche nel rapporto con se stesso". E' difficile descrivere cosa si prova quando si inizia questa ricerca e ci si affaccia alla porta dell'infinito, solo i grandi poeti e i grandi pittori ci sono riusciti, ma a molti sarà certamente capitato di vivere l'esperienza di questo spaesamento, percepire questo brivido. Sergio Givone ci dice che il paesaggio e come un teatro: una finzione che mette lo spettatore di fronte alla vita. Ma allora, quella montagna maledetta, stupenda, severa, generosa, è finzione o realtà? Perché decido di percorrere quella morena, cercare quella parete di ghiaccio, indirizzarmi ostinatamente verso quel passaggio se ancora non capisco se sto vivendo un sogno o se è la realtà che comincia? L'uomo per sua natura si appassiona, e non potrebbe essere diversamente, la sua vita non avrebbe senso. Avere passione, appassionarsi, significa avere la consapevolezza della sofferenza, della tragicità, ma al tempo stesso ricercare una emozione, vivere una gioia, innescare un conflitto personale tra il pensiero razionale e la parte emotiva che è in noi. Questa è la polarità e la straordinarietà dell'essere umano. Emozionarsi significa appunto mettere in movimento, fare scuotere l'animo, uscire, guardare l'altro, che può essere il mondo, il destino, la persona che ti sta accanto, immaginare chi verrà dopo di te. Daniele Nardi ha scritto: "Voglio esser ricordato come un ragazzo che ha provato a fare una cosa incredibile". Perché ci si potrebbe chiedere. Domandarsi che cosa spinge una persona verso i confini dell'incredibile, dell'assoluto, dell'infinito ha un senso? Difficile a dirsi perché la montagna infinita offre infinite risposte e ognuno di noi segue la strada che è in grado di percorrere, ma certamente, come ha scritto Handke, la fatica di aprire una maniglia e potremo aggiungere di scalare una montagna, ci consente di trasformare questi gesti semplici, o grandi che siano, in qualcosa che resiste allo svanire della progressiva scomparsa del corpo nel mondo, come ha ben chiarito Chul Han. Forse quella montagna, quell'anelito di infinito stava già nell'animo di Daniele e di Tom, lo avevano già sperimentato nelle loro intense vite e forse come Leopardi, in quell'infinito volevano fare ritorno; non per entrare nella storia, ma nell'infinito, nella vita». Sono pensieri lievi, come devono essere i commenti di fronte a quella che resta una tragedia, qualunque giudizio si intenda esprimere su chi è morto lassù e lassù riposa in quella dimensione gelida delle quote estreme.