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18 mar 2019

Sulla francofonia valdostana

di Luciano Caveri

Capisco quanto sia difficile condurre discussioni approfondite in Valle d'Aosta, dove troppo spesso la Politica è "guerra fra bande" e raramente in Consiglio Valle - stremato dalla ricerca di maggioranze improbabili per non andare al voto - ascolto discussioni su temi di prospettiva, ma semmai scambio di invettive o fotografie impietose su di una situazione di crisi che pare non risparmiare nulla in un cupo precipitevolissimevolmente. Si discute sui giornali , in punta di fioretto, sulla francofonia valdostana ed è giusto perché l'argomento non dev'essere un tabù. Rispetto a 150 anni fa, quando la mia famiglia di origini liguri aveva cominciato a integrarsi (il mio bisnonno Paolo-Paul era Sottoprefetto e mio nonno René nacque ad Aosta nel 1867), molto è cambiato: allora la Valle d'Aosta era bilingue, ma in sostanza il bilinguismo era francese-francoprovenzale.

Come molto sia cambiato da allora è appunto evidente: senza ricordare i misfatti fascisti che miravano in vario modo allo sradicamento del particolarismo linguistico, va detto con onestà che l'Autonomia non ha bloccato la decadenza nell'uso del francese, per quanto in apparenza il quadro giuridico ne consentisse lo sviluppo. Inutile mettersi a fare il processo a quanto avvenuto: potrebbe essere interessante e ne emergerebbero responsabilità di vario genere, personali e collettive. Prendere atto di questa situazione di progressiva "italianizzazione" linguistica non è da mistificare, ma semmai è uno stimolo per chiedersi con oggettività cosa fare di questo nostro bilinguismo costituzionale. Mal sopporto gli opposti estremismi. Chi si lancia in difese sperticate in logiche di lesa maestà nel nome della tradizione intangibile non mi pare che faccia breccia, riconoscendo ogni buona fede in questa lotta ideale. Dall'altra parte chi sguaina la spada della francofobia linguistica appare grottesco nella vis polemica degna di miglior causa ed anche questa posizione scivola via. Insomma: un campo di battaglia in cui si combatte nell'indifferenza dei più. Allora resta centrale il problema di che cosa fare e cioè se mantenere una rappresentazione dei fatti a seconda delle propria posizione ideologica o rimboccarsi le maniche, e lo scrivo perché ovviamente, ma senza mettermi una corazza con la spada in pugno, considero il francese un valore aggiunto. Esiste anzitutto un rispetto per le proprie radici ed il francese fa parte a pieno titolo di questa componente storica che non è per nulla banale e fa bene anche al proprio bagaglio culturale, da coltivarsi poi seguendo lo sviluppo della cultura francofona contemporanea, ricca di spunti. Dobbiamo insistere sul francese nella scuola insegnandolo meglio e con le enormi opportunità del Web, inserendolo davvero nella programmazione generale delle materie e puntando sulla formazione degli insegnanti a questo scopo. Queste sono chances e l'Università della Valle d'Aosta deve servire anche a questo scatto nella formazione come elemento nodale. Sia chiaro che avere italiano e francese non significa affatto non prevedere l'inglese: se ci si crede si può benissimo sostenere il trilinguismo come elemento di apertura ulteriore. In secondo luogo la nostra collocazione geografica è la ragione stessa per cui il francese fa parte del nostro patrimonio (come il francoprovenzale ormai considerata lingua storica e mai da mettere in contrapposizione al francese) ed oggi non dialogare, per mancanza di capacità, con i nostri vicini francesi (savoiardi) e svizzeri (vallesani) sarebbe stupido e non solo per motivi anch'essi culturali solidi e antichi ma anche per ragioni economiche e imprenditoriali. La francofonia resta poi una chiave di accesso al mondo. Lo è in Europa, perché nelle istituzioni il francese è lingua importante e quotidiana, lo è in molte parti del mondo nella rete della francofonia, che ho ben conosciuto e che offre grandi possibilità anche per i nostri giovani. Tutto questo significa impegno e non finzione. Questo credo che sia il nodo del dibattito da sviluppare. Bisogna crederci e fare una grande autocritica per capire - senza offendersi o turbarsi - che cosa non abbia e non stia funzionando. Un ultimo esempio: perché non si fanno più in Regione e nei Comuni delibere in francese e perché non si legifera in Consiglio Valle in francese e si usa spesso solo in modo stucchevole il francese negli interventi? Sono certo che ne usciremmo tutti arricchiti e convinti - come io lo sono - che il bilinguismo può e deve essere un aspetto prezioso dell'Autonomia valdostana e non solo per opportunismo. Ma lasciare il tema a discussioni polemiche e arroccate su posizioni inconciliabili non aiuta nessuno, neppure il francese...