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06 mar 2019

Il bacio della morte e l'Autonomia

di Luciano Caveri

Spero davvero che non si finisca per dover imparare, nella società valdostana, modi di dire della criminalità organizzata. Ma soprattutto che non si debba piangere sulla drammatica circostanza che certe piovre hanno finito per avvolgere e macchiare la nostra realtà alpina con la complicità di chi finisce per essere un sicario le cui azioni colpiranno a morte la nostra Autonomia. Perché di questo si tratta: essendo che se lo Statuto d'autonomia speciale esprime dei diritti - sotto la forma di poteri e competenze - ciò implica ovviamente i doveri cui attenersi per esserne degni. Altrimenti - è un fatto elementare a fronte di una Autonomia octroyé, cioè concessa - i meccanismi costituzionali in mano al Parlamento italiano possono togliere ciò che la Costituente diede nel lontano 1948 con il facile pretesto di una sorta di indegnità.

Ecco perché bisogna tenere bene a mente l'espressione "bacio della morte", vale a dire, nel gergo della mafia, quello che il capo di una cosca dà sulla guancia al sicario incaricato di eseguire una sentenza di morte. Il sicario è chi, colluso con i malavitosi, riceve il bacio come attestato di un patto di sangue che porta alla morte, in questo caso non di una persona, ma di un ordinamento giuridico che fonda una costruzione istituzionale e politica. Il bacio torna nelle presenze fra sacro e profano e viene in mente quella Madonna di Polsi - la Madonna della Montagna la cui reliquia viene coperta di baci - con il suo santuario sull'Aspromonte esibita ad Aosta nel corso della sfilata di San Grato del 7 settembre. Scrive "Linkiesta" con Francesca Chirico: «A Polsi, insomma, ci sta pure la 'ndrangheta, "devota" nel suo modo distorto, avendo eletto il santuario, racchiuso nel territorio comunale di San Luca, simbolo e fonte di legittimazione e consenso. Una presenza datata e puntuale, la sua. La documentano, a partire dagli anni Quaranta, fonti giudiziarie e letterarie, con la descrizione dettagliata dell'"assemblea" delle cosche durante la festa di settembre. E la denunciano inquietanti fatti di cronaca come l'omicidio dell'economo di Polsi, don Giuseppe Giovinazzo, ammazzato a colpi di fucile e pistola il 1° giugno 1989 mentre faceva rientro a Locri. Ma della 'ndrangheta nel santuario la Chiesa locale non si è data, ufficialmente, eccessiva preoccupazione, bollando le riunioni dei boss come vecchie tradizioni folkloristiche o frutto di sensazionalismo mediatico. Fino alla brutale verità del filmato del 2009. "Cari fratelli, se anche oggi ci saranno incontri e patti illegali, del tipo di quelli che hanno intercettato l'anno scorso le Forze dell'ordine, a noi poco importa. Sono cose che non ci riguardano. A noi interessa contemplare il volto materno di Maria", scandì l'anno successivo, dal santuario, il vescovo della diocesi di Locri-Gerace, Giuseppe Fiorini Morosini». E più avanti: «La prossimità di sacro e 'ndrine non è un'esclusiva del santuario aspromontano. La 'ndrangheta è spesso davanti all'altare: a trafugare simboli, riti e figure da imbrattare nelle sue cerimonie di affiliazione, a mescolarsi nelle processioni, mettendosi in spalla Santi e Madonne, a organizzare feste patronali». Questo per situare un problema che riguarda quella parte "malata" dell'immigrazione calabrese ben nota agli inquirenti, che "nuota" in un mare fatto di complicità (compresa l'indifferenza) e questo riguarda purtroppo chi, con ruoli di responsabilità, ha giocato anche in ambienti opachi alla ricerca di voti "facili", perché spinti da chi ha potere per farlo e dunque di fatto voti non liberi, se non persino acquistati con soldi o favori. Ma la cosa peggiore è chi, concorrendo per ruoli elettivi, si lega per il futuro con evidenti logiche luciferine di do ut des e si è parlato persino di momenti in Calabria di vera e propria affiliazione a rendere il tradimento di questi sicari dell'Autonomia ancora più terribile, una vera e propria abiura di valori e di idee.