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26 feb 2019

Quel che non torna nei #giletsjaunes

di Luciano Caveri

Ormai da molti mesi in Francia i "gilets jaunes" (la loro divisa è infatti il giubbotto catarifrangente da auto) si riuniscono il sabato per manifestare. Al successo iniziale con folle in tutto il Paese è seguito un lento calo del numero dei partecipanti, ma questa loro logica anti-sistema pare, nei sondaggi, piacere ai francesi, che pure hanno lasciato ad un numero ormai molto ristretto i blocchi stradali ed i cortei. Gli ultimi fatti preoccupano e mostrano l'avventatezza dei leader dei "Cinque Stelle" volati a Parigi per un'alleanza con i protestatari per le "Europee", che ha pure aperto una crisi diplomatica con la Francia, ricucita dal Quirinale. Molti avranno letto su "La Stampa" di ieri l'editoriale del direttore Maurizio Molinari, di cui cito la prima parte: «L'aggressione dei "gilet gialli" contro il filosofo francese Alain Finkielkraut ci dice che il più pericoloso antisemitismo è tornato nel cuore dell'Europa. A descriverlo è quanto avvenuto in boulevard Montparnasse, a Parigi, nella giornata di ieri».

«Un gruppo di "gilet gialli" ha riconosciuto il filosofo - continua Molinari - lo ha spinto in un angolo e mentre lui era spalle al muro uno dei manifestanti gli si è avvicinato, gli ha puntato l'indice contro ed ha iniziato a gridare "noi siamo il popolo, noi siamo il popolo". Altri "gilet gialli" sono arrivati, Finkielkraut si è allontanato protetto da alcuni passanti e dietro di lui i manifestanti gli hanno gridato: "Torna a Tel Aviv", "Palestina, Palestina", "vi cacceremo". Più il filosofo era lontano, più le grida dei "gilet gialli" crescevano, con i singoli che si toglievano mascherine e passamontagna per meglio gridare la propria rabbia. La sovrapposizione fra esaltazione del "popolo", insulti antisemiti, odio antisionista e promesse di espulsioni rappresenta quanto di più simile e contemporaneo può esserci alla dinamica con cui si innesca l'odio antiebraico nelle piazze, identificando nella casuale vittima di turno il male assoluto, da additare ed estirpare per il "bene delle masse". E' la stessa feroce dinamica con cui si originavano i pogrom in Russia al tempo degli zar, in Germania al tempo dei nazisti e nei Paesi arabi - da Baghdad a Tripoli - fra gli Anni Quaranta e Cinquanta. Ciò significa che nelle viscere dei movimenti di protesta presenti in Francia - e forse in altri Paesi d'Europa - alberga la più buia, miope e aggressiva delle intolleranze». Mi verrebbe da aggiungere: basta con le violenze fisiche e verbali, che innescano un clima pericoloso e chi gioca partite antidemocratiche sappia che gioca con il fuoco. Lo storico Marc Knobel ha scritto su "L'Obs": «Le mouvement des "gilets jaunes" est loin d'être homogène. Les revendications disparates et contradictoires s'ajoutent les unes aux autres, depuis plusieurs semaines. Les "gilets jaunes" disent se battre contre les taxes et les impôts, la cherté de la vie, l'injustice sociale, pour une plus grande représentativité démocratique et une plus juste solidarité. Il est vrai que la pauvreté et la misère affectent des millions de Français: travailleurs, ouvriers, chômeurs, déclassés, agriculteurs sacrifiés, classe moyenne, retraités, jeunes... Ces gens se sentent abandonnés par les technocrates, la classe politique. L'injustice, l'isolement, l'abandon, la paupérisation sont insupportables, nous le soulignons ici». Prosegue la riflessione: «Mais, pour se faire entendre par la classe politique, le président et le gouvernement, doit-on casser et brûler? N'avons-nous pas assisté ces derniers temps à des scènes d'une violence inouïe, dans un Paris outragé et violenté, également par des casseurs et de petits voyous, des factieux de l'ultra gauche ou de l'ultra droite et des gens qui se sont radicalisés, qui infiltrent ce mouvement?». Poi si viene al punto: «Théories conspirationnistes, refus du système, puissants stéréotypes racistes et antisémites, propagande distillée par la nébuleuse complotiste, radicalisation et instrumentalisation diverse de l'ultra droite et/ou de l'ultra gauche, permettent à l'antisémitisme de se développer et de prospérer plus ouvertement depuis plus de deux mois, chez une frange infiltrée de ce mouvement. Il ne s'agit pas de condamner tous les "gilets jaunes", bien évidemment. Cependant, certains commentateurs s'étonnent. Par exemple, le 24 décembre 2018, excédée, l'humoriste et comédienne Sophia Aram s'exclame sur son compte "Twitter": "Les slogans complotistes, antisémites, racistes, sexistes, homophobes, les menaces et violences envers les journalistes et les élus... ne sont rien comparés à la masse inerte de "gilets jaunes" que ça ne dérange pas"». Gli infiltrati non vengono isolati e pian piano si impadroniscono della protesta: questa è la triste realtà, ben documentata nel proseguo di questa analisi. Conclude Knobel: «Les souffrances sont réelles, la colère est palpable, c'est un fait. Les "gilets jaunes" expriment uns souffrance sociale, une désespérance. Pourtant, il faudrait repenser cette colère plus sereinement, plus fraternellement, plus démocratiquement surtout et la traduire différemment et d'abord et surtout sans la moindre violence. Vouloir en découdre tous les samedis, pousser des coups de gueule, balancer des pavés sur la gueule des flics, occuper des ronds-points, rien de tout cela n'est démocratique, républicain et ne constituera jamais une politique. Enfin, aucune cause sociale, économique, politique, aucune désespérance, aucune misère ne pourra jamais légitimer, justifier, tolérer, développer, faire se développer des comportements racistes, homophobes, xénophobes, sexistes et/ou antisémites». Verrebbe da aggiungere che mi inquieta questa storia della divise, in questo caso i "gilets jaunes", perché mi fa venire in mente la frase di Alcide De Gasperi: «Le divise sono sempre pericolose, specialmente quando le si fa indossare a dei bambini, perché vuol dire che li si sta preparando ad una guerra». Infine: nella politica italiana - per quanto non abbiamo violenze per strada comparabili a quelle francesi - i toni eccessivi e volgari di certa politica rissosa e gridata fanno danni e persino nella piccola realtà valdostana certi toni e certi eccessi nella rottura della normale dialettica politica non giovano affatto e sarebbe bene raffreddare il clima. Abbiamo già problemi irrisolti da affrontare ed è bene evitare veleni che agiscano sulla coesione sociale.