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05 feb 2019

Quarant'anni di giornalismo

di Luciano Caveri

Sono da quarant'anni giornalista proprio in queste ore: così attesta il mio ente previdenziale, messi insieme i contributi prima e dopo l'inizio del mio praticantato. In realtà avevo cominciato già qualche mese prima, passando dall'ambiente scherzoso e goliardico delle prove di trasmissione della piccola "Radio Saint-Vincent" a "Radio Reporter 93" di Torino, dove il clima era simpatico ma soprattutto professionale, e sfruttai questa chance grazie alla presentazione di mio fratello, che conosceva staff e proprietario della radio. Poi ci fu "Rta - RadioTeleAosta" ed infine, 39 anni fa fra qualche giorno, il salto alla "Rai", che lasciai per aspettativa politica per parecchi anni e dove sono rientrato dieci anni fa. Anche in aspettativa continuai a fare varie attività giornalistiche, perché la politica elettiva - pur essendo un lavoro vero che va affrontato con serietà e impegno - è un "mestiere" per natura "a termine" e come tale va vissuto e la passione per il giornalismo è un fuoco che non si spegne altrimenti.

Quattro decenni sono davvero tanti ed è inutile girare attorno al fatto che fa venire una certa apprensione questo tempo trascorso. Tuttavia ogni età della vita offre delle opportunità, anche se certo la rapidità dei cambiamenti oggi fa impressione e se penso solo all'avvicendarsi delle tecnologie è una storia da capogiro. Per dire: i mezzi di registrazione a bobina della radio di allora sono spariti e sono spariti, se non per gli amatori del "vintage", i dischi in vinile. In televisione le telecamere erano oggetti ingombranti e costosissimi e per chi come me leggeva il telegiornale non esistevano sistemi di lettura che non fossero fogli scritti con la macchina da scrivere e quella elettrica era già una rivoluzione. Per chi lavorava alla "Rai" il pane quotidiano era sbattersi a cercar notizie: non esistevano agenzie di stampa o siti Web che seguissero l'attualità e dunque ogni santo giorno ci si metteva lì - i "quattro gatti" che eravamo - a cercare informazioni ed a costruire servizi da una vera e propria tabula rasa. Ma - vista la rarità di inviati che piombassero da fuori su grandi eventi - godevano della possibilità di "andare in nazionale" in radio e in televisione, uscendo da quel nostro orticello, dove noi mezzibusti finivamo per avere una popolarità notevole. Con gli occhi del passato, che tendono a dipingere tutto di rosa, sono stati momenti straordinari in un ambiente che appare nei ricordi più genuino e meno artefatto. Ma è l'effetto del tempo: i cambiamenti sono un fatto naturale e vanno analizzati come tali e non solo sull'onda emotiva e del comprensibile rimpianto di quando di fronte a te c'era una vita intera. Già allora, come oggi, c'era il bene e il male, il bello e il brutto, la gioia e il dolore, che sono lo scenario di fronte al quale si trova chi faccia giornalismo e ami raccontare storie ordinarie ed anche avvenimenti straordinari. Forse quello che è cambiato è che quegli anni, pieni di contraddizioni, restavano conditi da un fondo di ottimismo e di percezione di una Valle d'Aosta che cresceva e che eccelleva in molti campi. Ne sono testimone anche in quella gemmazione della mia vita che fu, dal 1987, la mia attività politica. Era come surfare su di un'onda senza paura di cadere, contando su un ambiente favorevole e sulle proprie forze. Oggi mantenere lo stesso ottimismo non vale e mi riferisco anche al peso sulla Valle più di scandali penosi e mezzecalzette che hanno occupato ruoli importanti. Ogni tanto mi chiedo se sia stato raggiunto il fondo del pozzo e mi sforzo di mantenere i nervi saldi di fronte a certi eventi che sconvolgono anche il più serafico osservatore delle miserie umane. Per fortuna resta la capacità di indignarsi che può essere un motore potente se non se ne spreca l'energia. Per cui certi traguardi nella vita, come molti anniversari, servono se non sono la stucchevole rievocazione di quel che si è stati o di quello che è avvenuto, ma consentono con lo sguardo di oggi di non sopportare quanto non ci piace e di reagire a quanto ci preoccupa. Altrimenti vorrebbe dire solo che sono o meglio siamo - pensando alle generazioni di adulti cui spetta assicurare un futuro si più giovani - "spenti dentro" e sarebbe una tragedia.