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28 gen 2019

La 'ndrangheta in Valle d'Aosta

di Luciano Caveri

Leggo con dispiacere e preoccupazione, ma non con stupore, degli arresti di varie persone - compresi due politici dell'Union Valdôtaine, partito in cui sono nato e cresciuto e che lasciai per molte cose che non mi convincevano, compreso il tema legalità - per legami con la 'ndrangheta calabrese. Non posso non ricordare come in tempi non sospetti ci fu chi mise in guardia sui rischi che con l'immigrazione buona arrivassero anche i veleni della criminalità. Mio zio Severino Caveri, che fu fondatore e leader dell'UV, a metà degli anni '60, con espressioni che oggi potremmo bollare come "politicamente scorrette", denunciò in un suo articolo la "spinta" all'immigrazione calabrese voluta dall'allora segretario del Partito Socialista Francesco Froio, "paracadutato" in Valle per pilotare in parte la fine della "Giunta del leone" ed il cui curriculum negli anni successivi, anche recenti, è illuminante. Quel che preoccupava mio zio, che bollare come "xenofobo" è ridicolo per chiunque legga l'insieme dei suoi "scritti umanisti", erano i metodi che c'erano dietro questa scelta.

Il tempo è galantuomo e purtroppo - perché associare la Valle alla criminalità organizzata più feroce che ci sia, fa male al cuore - gli ha dato ragione: ad una vasta immigrazione onesta e ormai integrata con cui ho rapporti di amicizia e stima da anni (lo preciso per evitare le strumentalizzazioni, magari proprio da parte di amici dei 'ndranghetisti, che in passato giocarono su di un mio inesistente anti-meridionalismo), fa da contraltare una parte pur circoscritta che invece ha aderenze con la malavita organizzata in un'attività ormai bicefala fra Calabria e Valle d'Aosta (con legami con il resto del Nord). Ed è bene verificare con attenzione chi facesse da "ponte" con il mondo della politica. Le numerose pubblicazioni sulle infiltrazioni mafiose in Regioni del centro-nord dimostrano come il fenomeno prima si radichi e poi si diffonda come un erba velenosa e infestante e di come, senza rapidità di risposta, gli esiti possano essere disastrosi. Specie se i metodi mafiosi finiscono per penetrare in profondità con un rischio di condizionamento delle decisioni politiche e amministrative, che poi - dovendo essere realisti - significano soldi e ancora soldi. Purtroppo sporchi. Ora parrebbe si scavi in profondità e senza guardare in faccia nessuno. Ne sono lieto e mi auguro che il diffuso pessimismo - motivato da tanti "omissis" del passato - che alcuni esprimono («anche questa volta non succederà nulla...») sarà smentito dai fatti. Scriveva Leonardo Sciascia ne "Il giorno della civetta", libro del 1961: «Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia... A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma... Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già, oltre Roma...». In realtà mafia e camorra non hanno retto all'astuzia e alla cattiveria della 'ndrangheta calabrese che ha preso il sopravvento e ciò forse stupirebbe persino Sciascia, che era stato anche colui che lanciò l'allarme contro i professionisti dell'antimafia, che si ergono a paladini della Giustizia e spesso, invece, sono complici. Ricordo il detto usato dalla 'ndrangheta: «Davanti alla gran curti non si parra, pochi paroli e cull'occhiuzzi 'nterra, l'omu chi parra assai sempre la sgarra! Culla sua stessa lingua s'assutterra». Traduzione: «Davanti alla gran corte non si parla, poche parole e con gli occhi rivolti verso terra, l'uomo che parla troppo sempre sgarra! Con la sua stessa lingua si sotterra». Resta sul tema la questione delle infiltrazioni mafiose Valle, non banale per un suo aspetto simbolico di celebrazioni, legate anche ai festeggiamenti del 7 settembre del Patrono della Diocesi di Aosta, della Madonna del Santuario di Polsi, cui sono legati una devozione e riti di iniziazione dei 'ndranghestisti. Osserva, infatti, l'associazione antimafia "Libera" che questa celebre Madonna dell'Aspromonte non è solo un simbolo di fede, ma anche - e la cosa è nella storia - la madonna di fronte alla quale si giura fedeltà alla 'ndrangheta e dove le famiglie mafiose si ritrovano per il loro malaffare, ormai holding economico-finanziaria in tutto il mondo, Valle d'Aosta compresa, come dice chi se ne intende della materia. Sarebbe bene forse, rispettando la religiosità popolare "buona", capire se questa presenza in Valle non sia foriera di questioni occulte allarmanti di cui - noi e il povero San Grato - potremmo fare volentieri a meno. Ha scritto il magistrato Nicola Gratteri: «si riuniscono a Polsi perché è il luogo sacro, il luogo della custodia delle dodici tavole della 'ndrangheta... perché la forza della Santa, rispetto alle altre organizzazioni criminali, è che fa osservare in modo ortodosso le regole». Chi in Valle si è legato mani e piedi con certi ambienti a metà fra superstizioni antiche e moderna imprenditoria delinquenziale dovrebbe anzitutto avere paura, oltre a fare schifo e vergognarsi di aver tradito antichi valori della onesta e pacifica comunità alpina valdostana.