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29 nov 2018

La matrioska e le proprie convinzioni

di Luciano Caveri

Qualche mese fa sono stato nell'appartamento, ormai abbandonato da anni, dove ho passato le estati della mia infanzia e ho rinvenuto una matrioska che mi avevano regalato da bambino e mi piaceva moltissimo. L'ho regalata al mio bimbo piccolo. La storia di questo oggetto, caratteristico della Russia, è singolare e penso che tutti sappiano di che cosa parlo. Quel che appare è una bambola di legno che raffigura una corpulenta contadina russa, ma in realtà sono una serie di bambole, di forma all'incirca ovoidale e di figura simile ma di dimensioni diverse, che, contenute ciascuna nella cavità di quella immediatamente più grande, si possono via via estrarre in quanto tutte (tranne eventualmente la più piccola) composte di due metà innestate l'una sull'altra.

Ad idearla e a farla costruire a inizio Novecento fu Savva Mamontov (1841–1918), fondatore del circolo artistico di Abramcevo, che pare l'avesse copiato da una rappresentazione buddista di costruzione giapponese, mentre c'è chi sostiene che il modello fossero delle scatole cinesi. "Matrioska" pare essere un diminutivo di "matrena" ovvero "matrona" e dovrebbe rappresentare simbolicamente la figura materna, che poi contiene in ordine di grandezza (anche se ci sono delle varianti), una madre, una ragazza, un ragazzo, una bambina eccetera, fino all'ultima figura, quella di un neonato in fasce. Il ciclo della vita affascina. Ognuno di noi vive questa esperienza e può dire in sostanza di aver vissuto tante vite e non una sola. C'era un Luciano bambino, uno ragazzo, poi adulto ed oggi coi capelli bianchi. Ma, in questo periodo che mi pare di grande confusione in campo politico, ci tengo a dire che - dall'età della ragione - non ho mai cambiato idea e certo non lo farò oggi rispetto a quanto poi nel tempo ha uniformato la mia azione politica e amministrativa, ma anche il mio modo di pensare attraverso tutti gli approfondimenti necessari. Sono stato nella Jeunesse Valdôtaine, poi nell'Union Valdôtaine, poi nell'Union Valdôtaine Progressiste e ora in MOUV' e l'ho fatto rimanendo sempre lo stesso in quel mondo autonomista e federalista che crede che l'Autonomia speciale sia uno strumento imperfetto per le aspirazioni più profonde di maggior libertà, autogoverno e consapevolezza dei diritti e doveri che ne discendono. Ma questo è quanto oggi abbiamo da sviluppare non considerando l'attuale ordinamento come fosse un punto di arrivo ma un punto di partenza nei rapporti con Roma e con Bruxelles, conoscendo i limiti dell'Unione europea ma considerando l'europeismo un valore da sviluppare. Mai penserei di muovermi su terreni diversi da questo perché snaturerei le mie convinzioni e anche l'eredità politica familiare di cui vado fiero e a cui mi sono sempre ispirato. Mantenere la barra dritta di questi tempi è indispensabile. Si discute molto di quale destino avrà la specificità politica della Valle d'Aosta: dal dopoguerra ad oggi lo scenario ha avuto due fasi che non hanno avuto un impatto brusco e cioè un confino esattamente definito. En gros si può dire l'Union Valdôtaine occupava in solitudine l'area autonomista con le sue diaspore sin da dopo la sua fondazione con chi andò in partiti nazionali e chi creò piccoli movimenti a destra o a sinistra. Con gli anni Settanta l'area autonomista si arricchì con i Democratici Popolari, nati dalla Sinistra democristiana, che sbloccarono una parte dell'elettorato altrimenti diversamente orientato. La crisi della partitocrazia con "Tangentopoli" e dintorni, svaporando le forze politiche tradizionali, ha dato vita a nuove formazioni ed è proseguito lo spezzettamento in casa unionista con diversi soggetti succedutisi nel tempo. Ora si può dire che l'autonomismo è punto di riferimento quasi per tutti con una saturazione vera e propria e non sempre con il mantenimento di quei principi e di quei valori che dovrebbero caratterizzare chi si ispira a un certo filone di pensiero. C'è dunque chi lo fa per opportunismo, per logiche di mimetismo, per occupare spazi senza avere un solido background culturale e per fortuna c'è chi, invece, mantiene salde le radici, ma non riesce ad uscire da divisioni incancrenite da personalismi e da certe storiacce che hanno sporcato l'immagine della Valle. Oggi il momento è venuto per capire bene il da farsi e non solo per avere più governabilità o per ragioni elettoralistiche (anche se le elezioni con modifiche opportune fatte in tempo non è una tragedia), ma perché lo spezzatino autonomista nuoce gravemente ai valdostani e al loro futuro. Ma tempi e modi non sono per nulla indifferenti.