Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
20 nov 2018

Il mezzobusto digitale

di Luciano Caveri

Ogni tanto mi capita di sognare di leggere un telegiornale. E' un sogno piacevole e divertente, durante il quale mi compiaccio molto di non leggere né i fogli che ho davanti (se non degli appunti con la mia scrittura cubitale) e neppure di adoperare quell'aggeggio che consente di avere i testi in favore di telecamera, dando però l'impressione di improvvisare, chiamato "gobbo elettronico". Non so perché questo avvenga, forse si tratta di una forma di nostalgia della mia giovinezza. Avendo scoperto la mia vena giornalistica, poi diventato il mio lavoro, quando andai in radio da ragazzino, devo dire che pur amandola moltissimo questa "vecchia" Radio che rinasce sempre dalle sue ceneri e che pratico ancora oggi, la Televisione a vent'anni fu un colpo di fulmine senza eguali.

Avevo diciannove anni e mi trovai a realizzare il notiziario a Torino su "Radio Reporter 93", ma poi - rivelazione! - l'anno successivo piombai negli studi di "RTA - Radio Tele Aosta" a leggere proprio il telegiornale e naturalmente a realizzare servizi e dibattiti (con telefonate in diretta!) per la stessa televisione. Questa "RTA" era un'emittente di proprietà - anche se lui lo teneva nascosto - del rampante imprenditore Giuliano Follioley, che uscì di scena pochi anni dopo per un crac finanziario seguito a indagini giudiziarie per storie di corruzione negli appalti. La sede era in cima al "Palazzo Fiat" in corso Battaglione Aosta, proprietà del "Signor Fiat valdostano", Efisio Noussan, brillante e simpatico imprenditore, grande collezionista di immagini e documenti della Valle d'Aosta del passato. Erano studi televisivi con attrezzature di alto livello in un ambiente confortevole il cui cuore era un grande studio molto bello con gradinate per il pubblico e naturalmente una parte era allestita con la scenografia di un telegiornale che sconvolse il panorama informativo regionale, trasformandosi in un vero e proprio fenomeno sociale grazie ad un gruppo di giovani arrembanti che scavavano nella cronaca locale e che hanno tutti fatto delle carriere. Scoprii così una vocazione: quella di leggere con naturalezza il telegiornale e di saper trasmettere una certa simpatia ma anche - spero - un'immagine di serietà, perché si tratta di un rapporto con il pubblico che si può cementare solo in questo modo. Per questo mi fa sorridere che l'agenzia di Stato cinese "Xinhua" abbia mandato in onda il primo telegiornale condotto da un programma di intelligenza artificiale. Sullo schermo compare una immagine creata da un computer in grado di leggere le notizie del giorno... senza mai stancarsi. Scrive l'esperto di nuove tecnologie e affini Riccardo Luna nel suo blog sull'"Agenzia Italia": «Proprio mentre Donald Trump cacciava dalla Casa Bianca il cronista della televisione americana "CNN" che lo stava intervistando, a migliaia di chilometri di distanza, alla "World Internet Conference" di Wuzhen, debuttava un giornalista inquietante. L'agenzia di stato cinese "Xinhua" mandava in onda il primo telegiornale condotto da una intelligenza artificiale. Sullo schermo è apparso un giovane cinese elegante, con un vestito grigio, la cravatta a pallini bianchi, gli occhiali con la montatura trasparente, i capelli ben ordinati: non vi sforzate di trovargli un nome, quel conduttore di telegiornale non esiste. Era una immagine creata da un computer in grado di leggere le notizie del giorno con voce un tantino stentorea però chiara e convincente, muovendosi in modo piuttosto naturale». Vero che ci dovremo abituare alla crescente e temo sconvolgente presenza di robot reali (stavo per dire "in carne ed ossa") o virtuali come quello che già ci parlano dal telefonino (tipo "Siri"), ma confesso di avere un'attitudine luddista, che certo non mi porta molto lontano, ma eccita la mia visione giuridica di norme precise di cui si discute già da tempo per i limiti etici e anche molto concreti da porsi fra l'umanità e questi "simil noi" sempre più perfezionati. Osserva ancora Luna: «Ok, non è ancora perfetto forse, ma ci manca pochissimo. Quel giornalista, scusate se lo chiamo così, parla un perfetto inglese, e ce n'è anche una versione per il pubblico cinese, un tale stempiato con cravatta rossa e senza occhiali, un tantino più allegro chissà perché. Secondo "Xinhua" si tratta di una innovazione formidabile, perché un giornalista così, alimentato dalle news scritte dai veri giornalisti dell'agenzia di stampa, è in grado di lavorare 24 ore al giorno senza battere ciglio (se il software non prevede battiti di ciglia ovviamente), senza mai dare segni di stanchezza, senza protestare mai. Aggiungo: senza pensare mai. Non ha idee e ideali, non si indigna, non si appassiona. Un giornalista così non affronterebbe mai il presidente degli Stati Uniti incalzandolo di domande facendosi cacciare. Certo, giornalisti servi di un qualche potere ci sono sempre stati senza bisogno di scomodare l'innovazione tecnologica; e l'innovazione di "Xinhua" potrà avere delle applicazioni utili; ma è evidente che potrebbe anche essere usata per sostituire i giornalisti con megafoni del potere. Mentre guardavo e riguardavo il telegiornale del giornalista artificiale ho ripensato all'intervista che il numero uno di "Google" Sundar Pichai ha dato al "New York Times". Finisce così: la tecnologia è meravigliosa ma non risolve da sola i problemi dell'umanità. Tocca a noi umani farlo». Ma tocca a noi soprattutto pensare ai limiti, pensando che anche in questo caso non sono tanto i mezzibusti televisivi virtuali che preoccupano, quanto il loro impatto sull'occupazione, per non dire dei robot meccanici e elettronici che il settore militare - da cui sono derivate le tecnologie dal tempo delle caverne ad oggi - sta testando per i campi di battaglia che l'umanità si ostina a considerare, purtroppo, come una priorità.