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17 ago 2018

Il filo sottile della Vita

di Luciano Caveri

"Il più bello dei mari è quello che non navigammo. Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto. I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti. E quello che vorrei dirti di più bello non te l'ho ancora detto". (Nazim Hikmet)

Di fronte alla lettura di una poesia (ed il genere letterario è ingiustamente in crisi) ci sono sempre pensieri, che inevitabilmente si mischiano con quanto ci gira attorno e ci colpisce. Capita a tutti di riflettere - e cercherò di spiegarmi - su quanto possa essere sottile la soglia fra la vita e la morte, fra la gioia e il dolore. Talvolta ci si accorge di essere stati vicini a questo passaggio per un avvenimento evitato per un soffio, quando si può dire, tirando un sospiro di sollievo: «L'ho scampata bella!».

A me è capitato, come a tutti: un incidente in moto e tutto si rallenta, una disattenzione in un sorpasso in auto e poteva essere un disastro, una scivolata in un canalone fuoripista e poteva essere un tonfo. Ma, per Fortuna, Benevolenza divina, Caso, Fato, Destino, Karma così non fu e sono rimasto. Definizioni che mascherano credenze e fedi assai complesse e non sempre sovrapponibili fra miti, leggende, intrecci religiosi. Non è un esercizio astratto quello di vedere questo confine fra luce e ombra, ma lo dimostra la quotidianità della nostra vita, fatta di una socialità che - nel suo esercizio diuturno - è la conferma di storie personali che diventano oggetto di conversazione, perché raccontarsi le brutte storie è come un esorcismo e dimostrano avvenimenti improvvisi che sconvolgono esistenze. Una malattia, un incidente, una lite, un azzardo: su di una scacchiera gli eventi - che si creda o meno ad una mano misteriosa e immanente od ai capricci spesso beffardi del caso - si incrociano con mosse che cambiano tutto d'improvviso, talvolta con elementi che lasciano stupiti. Mi ha molto colpito - ad esempio - questa vicenda dei tre giovani, due fratelli e la fidanzata di uno di loro, morti sul Monte Bianco in una scalata diversa da quella programmata per via della chiusura di un impianto di risalita. Quella che doveva essere per loro - definiti esperti e prudenti e dirlo ha il senso purtroppo di una speranza svanita - una scalata per festeggiare il compleanno di uno dei due ragazzi è diventata, invece, per tutti e tre gli scalatori l'ultimo giorno della loro vita. Un fatto casuale ha innescato un meccanismo che ha portato ad una tragedia: un'implacabile caduta in cordata nel ghiacciaio sottostante, scoperta a molte ore di distanza quando nulla era più possibile fare, perché l'alta montagna non fa sconti ed è bene ripeterselo per chi vorrebbe "patenti d'alpinismo" o il numero chiuso con sbarra per contingentare gli accessi alle vette. Ha scritto José Saramago: «Il destino è uno scrigno come altri non ne esistono, aperto e contemporaneamente chiuso, si guarda dentro e si può vedere quanto è successo, la vita passata, destino ormai compiuto, ma di quanto dovrà accadere non si ottiene niente, solo qualche presentimento, qualche intuizione». Certo, può esistere che ciò avvenga e non è spiegabile. Mi è capitato di conservare - come se se lo sentissero davvero che fosse un'ultima volta - una frase, un'espressione, un cenno. Un modo, insomma, per dirti addio. In altri casi - a dimostrazione del confine mobile fra "prima" e "dopo" - ci sono altri che hanno lasciato comunque un pezzettino di sé che mi hanno dato e lasciato come frutto della loro frequentazione. Anche questa è una sconfitta per la morte, perché vanno via ma restano.