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26 lug 2018

Fenomenologia della spiaggia

di Luciano Caveri

Quando si avvicina la fine della vacanza, fra il pensiero di un anno in più che se ne va ed il piacere della carica di riposo accumulata, restano i pensieri in libertà. Anche i più banali fra di loro ti portano indietro nel tempo a ricordi sepolti sotto la sabbia con il senso che quella sabbia, come quella di una clessidra, tende ad accelerare più se ne è consumata, misurando il tempo che fugge. Mi viene da dire, scherzando, di come la fotografia plurima del giornalista Beppe Severgnini ci prenda in pieno: «La spiaggia italiana non è solo l'anticamera del mare. La spiaggia è una passerella, una galleria, una palestra, una pista, un ristorante, un mercato, un laboratorio, una sauna, una sala di lettura, un luogo di meditazione, un nido d'amore».

Per uno che si sente montanaro, ma ama i mari, la spiaggia è stata anzitutto un luogo in cui sono cresciuto in un bipolarismo che mi ha formato. Per la semplice ragione che - direi che per più di una ventina di anni - sono stato per i mesi estivi un "tipo da spiaggia", prima al traino dei miei genitori e poi in proprio, partendo dai quattordici anni con il motorino spedito al mare sul treno, che mi aveva finalmente dato la piena libertà di movimento. Così ho potuto vivere due realtà in parallelo su questa storia della spiaggia e della sua fenomenologia. La prima legata all'età e la seconda agli orari e pure ai mesi. Partirei da queste ultime che si sposano: la spiaggia di giugno non è quella di luglio e agosto per clima, affollamento e tipologia di persone presenti. Sublime è sempre stato (sono al 1977, la scuola iniziava il 1° ottobre!) settembre spesso con il mare piatto e quel languore di un'estate declinante, ormai simile a quando un frutto molto maturo e molto zuccherino già quasi passato. Gli orari poi si somigliano abbastanza per l'intera stagione: nelle prime ore in spiaggia ci sono i veri intenditori, poi arrivano le famiglie, sopravvengono in tardissima mattinata quelli più nottambuli delle compagnie, mentre mamme e bimbi piccoli se ne vanno, il pomeriggio è vario e più si avanza verso la chiusura e più è da intenditori. La notte ormai è vietata nelle spiagge attrezzate, mentre un tempo erano consentite sia chiacchiere fra ragazzi con "bagni di Mezzanotte" che amori al buio fra gli ombrelloni, di cui serbo ricordi fra il romantico e il comico. La tipologia di persone è varia: dai bagnini (ricordo alla "Spiaggia d'Oro" Giacomo, mugugnone ligure dell'entroterra, e Carmelo, meridionale emigrato dai muscoli in bella mostra) ai vecchietti igienisti (a fare bagni all'alba e ginnastica sulla riva), dalle compagnie rivali a seconda dei Bagni, alle mammine occhieggianti quando i mariti erano in città e quando i mariti c'erano erano loro semmai ad allungare gli occhi, specie quando il topless fu una moda. Del tutto cult è sempre stato il bar della spiaggia e gli annunci vari agli altoparlanti. Nessuna spiaggia tropicale, dove pure sono stato, può restituire l'odore dei krapfen caldi, della pizza appena sfornata, così come delle grida dei "coccobello". Naturalmente lo sguardo d'insieme muta a seconda dell'età che si ha quando si osserva e gli stessi posti, le medesime circostanze e le persone sulla stessa scena si vedono con occhio diverso, perché questo è il bello della vita, specie per chi non si nasconde la diversità delle stagioni della propria esistenza e le si interpreta come tali. "Spiaggia" è un termine la cui origine veniva raccontata un'annetto fa su "L'Espresso" e perché non riportarlo? "Spiaggia: è la regina delle vacanze, ed in genere è considerata un luogo ameno ma decisamente inadatto a pesanti sforzi culturali. Eppure spiaggia è una parola con una storia di tutto rispetto. Viene dal latino "plaga", forse intersecatasi con il greco "plaghia" che significava "costa, pendenza, fianco". Nel medioevo era meglio conosciuta come "piaggia", ma esistevano anche le varianti "plaia" al femminile e persino un "plaiu" al maschile. Il termine "piaggia" è usato spesso da Dante, la "s" iniziale odierna è invece un rafforzativo. Un derivato è il verbo "spiaggiare/spiaggiarsi", che dovrebbe indicare le balene arenate, ma spesso è utilissimo per indicare alcuni umani distesi come enormi cetacei sulla sabbia, in caccia di abbronzatura». C'è anche questo in quel formato in scala, in parte oggetto di specchi deformanti, di piccola società in miniatura che forse un antropologo dovrebbe studiare, piazzandosi in spiaggia con il rischio di passare per un guardone.