Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
25 lug 2018

Il vuoto della nullafacenza

di Luciano Caveri

Il cambio dei costumi colpisce sempre e non mi riferisco qui al vergognoso rito che ci colpiva da bambini, quando la mamma ci toglieva il costumino bagnato avvolti nell'asciugamano creandoci vergogna e imbarazzo, ma a questioni sociologiche di cui prendere atto e che forse meriterebbero saggi pensosi e non il rischio - come dire? - di figurare in queste mie modeste considerazioni che, per via della stagione, si possono configurare come semplice "cazzeggio", che è più comprensibile della vecchia espressione "parlare a vanvera". Ci sono cose che non riesci a spiegarti, almeno sino a quando non ci rifletti nel vuoto pneumatico di certe mattinate marine "au bord de la mer". Varrebbe anche per il pomeriggio, se non fosse che arriva salvifico il sonno postprandiale, che è fenomeno naturale accentuato dal caldo e dal senso di vuoto della nullafacenza.

Mi riferisco - per venire al sodo (e non mi riferisco alle bellezze in costume) - al venir meno nella vita di alcune certezze, duro colpo alle proprie convinzioni più profonde, che in confronto la crisi delle ideologie e la mancata soluzioni di vecchi rovelli matematici sono una bazzecola. Mi occuperò - e chiedo sin da subito alla clemenza della Corte - di certe vacue conversazioni da spiaggia, che sono da sempre - lo dico senza ironia, ma con cruda secchezza, come avviene per certi legni plasmati dal mare rinvenibili sulla riva - la quintessenza dell'inutilità. Ma da epoche lontane scaldano il cuore e si potrebbe chiedere all'Unesco di classificarle come "Patrimonio immateriale dell'Umanità", essendo la perdita di tempo un plus dell'ozio estivo, che si somma ad analoghe pratiche a cadenza annuale. Basta per altro - ma ormai siamo in pochi a farlo e chiudono perciò le edicole sul lungomare - leggere il giornale la mattina per averne ben donde e questo, volendo, è già di per sé stesso un buon argomento da chiacchiera da ombrellone o da caffè al baruccio della spiaggia. Sarà che la situazione umana e logistica ha una sua singolarità. Anzitutto perché si è in costume da bagno, circostanza quasi adamitica assai simile ad uno stato di inerme di natura o forse perché il sole picchia sulla testa rallentando i neuroni che diventano lassi e il tempo si dilata senza ragioni apparenti, pur mancando uno studio su questo fenomeno da litorale marino degno di approfondimento, come già avvenuto per l'analisi del ritmo circadiano del sonno. I complottisti da ombrellone sostengono che è colpa delle scie chimiche degli aerei nei cieli che ci avvelenano per cura cattiveria e del combustibile delle moto d'acqua che diffondo microparticelle che ingrippano certi meccanismi mentali per renderci mansueti. La prova è che le mamme non dicono più ai bambino impegnato al suolo con sabbia bagnata e formine «Alzati e saluta la Signora!» ed i bagnini non fanno più larghi sorrisi ed avances sornione alle mamme sole coi pargoli coi mariti assenti per via del lavoro in città. Anche se l'aspetto più scioccante - per quelli della mia generazione - è l'esito delle ricerche scientifiche secondo le quali - se proprio non hai mangiato polenta concia e misto di carne, oltre a metà del carrello dei formaggi, buttandoti poi subito nel gelido Mar Baltico - non è necessario aspettare tre ore per fare il bagno dopo aver mangiato. A mettere a dura prova questo habitat e a modificare comportamenti sociali su cui gli etologi possono dire la loro è apparso il telefonino, cui si è aggiunto il tablet. Come per i nostri mari le alghe velenose, le meduse infestanti e le nuove specie di pesci tropicali nel Mediterraneo questo ha cambiato molte abitudini. Entrate in una spiaggia e certi chiacchiericci del passato languono per via del fatto che grandi e piccini sono chini sugli schermi e potrebbero trovarsi ovunque, immersi come sono in una dimensione che li allontana dallo sciabordio del mare, dagli odori delle creme solari, dai rumori dei racchettoni e dagli annunci dei bimbi smarriti dagli altoparlanti. Ma sta arrivando la svolta, come da lungo articolo di Elena Tebano sul "Corriere della Sera", che dice tutto nelle prime righe: «Disconnessione felice. O "Jomo - Joy of missing out": la "gioia di perdersi qualcosa" come l'hanno ribattezzata a Google. Dopo anni di abbuffate digitali e ubriacature da social network il mantra dell'estate è riequilibrare la dieta online. Connettersi meno e connettersi meglio. Staccare da internet - e non solo da mail e telefonate di lavoro - è parte integrante della vacanza per la maggior parte delle persone». Insomma: pare esistere qualche speranza resistenziale per tornare indietro. Io ci provo, lasciando gli apparati digitali chiusi in camera, anche se ho l'impressione che mi guardino quando li abbandono - attaccati al loro caricabatterie - con lo stesso sguardo dei cani lasciati in autostrada da un padrone cattivo.