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13 lug 2018

Predicare bene e razzolare male

di Luciano Caveri

Tutto parte da un proverbio, che è - comme d'habitude - frutto di osservazione umana del mondo circostante e estratto di saggezza: "Fare come il gallo che canta bene e razzola male". "Razzolare" significa "raspare con le zampe nel terreno per scovare qualcosa da beccare", riferito a polli e ad altri gallinacei e mentre la gallina si applica, il maschio del pollaio difetta nell'esercizio più pratico, ma si esibisce nelle ben note - e pure utili per il risveglio - doti canore. Dal detto deriva quel "predicare bene e razzolare male" di chi nel parlare sembra persona giusta e onesta, mentre nelle azioni si comporta in modo ben diverso, mostrando un'evidente diversità fra il dire e il fare.

Lo scrivo con il sorriso, verrebbe da usare a fianco allo scritto l'emoji con la faccina sorridente, perché in fondo sono comportamenti cui assistiamo con ricorrenza nel corso della nostra vita e finiamo per farci il callo. Anche se questo non significa affatto una forma di approvazione o di giustificazione, è certo l'esperienza è utile nell'individuare prima di quanto avvenisse nel passato i galli canterini... Ci pensavo, dopo le recenti elezioni regionali valdostane con molti feriti e qualche morto sul campo "autonomisti", rispetto a rinnovati plaidoyers in favore di una riunificazione delle forze autonomiste. Tema non nuovo in questi ultimi anni e sinora ogni tentativo non solo non ha sortito risultato ma l'effetto spezzettamento è proseguito ancora, innescando la solita scia di polemiche fra chi resta da qualche parte e chi se ne va altrove e ciò, al posto di trovare strade unificanti, complica il dedalo. Anche in questa fase, spesso con infauste strategie carbonare al posto di farlo alla luce del sole, c'è chi si affanna. Intendiamoci a scanso di equivoci: c'è chi lo fa in totale buona fede e chi invece senza capire che non bastano affermazioni di principio, ma ci vuole un disegno chiaro e condiviso e soprattutto non frutto di scelte verticistiche più votate alla ricerca di propri spazi che in un disegno pluralista. Umiltà è capire bene che cosa non ha funzionato e sapere che certi elementi di divisione potranno riproporsi se non cambieranno metodi e comportamenti e pure se non si vedranno più in giro coloro che sono stati la causa prima delle divisioni. Partire dal basso vuol dire coinvolgere e riflettere non in una logica astratta di democrazia assembleare - perché le leadership sono connaturate all'attività politica - ma facendo del confronto e delle diverse opinioni non un elemento da disprezzare ma una ricchezza, che obbliga poi per passare alle azioni concrete a trovare momenti di sintesi. Non vuol dire unanimismo ma neppure pensare che i valdostani siano dei manichini da manovrare a piacimento, magari con il ricatto del clientelismo in un rapporto ambiguo di cui hanno responsabilità certi "capi" che ne hanno approfittato, così come i cittadini che si sono adeguati tacendo in un rapporto che ha finito per essere complicità. Questo implica anche che i convitati di pietra - cioè chi di fronte alla crisi del mondo autonomista valdostano si rifugia nel disinteresse ed anche per molti nell'astensionismo - escano dalla loro situazione fantasmatica e si facciano sentire, dimostrando che la nostra è una comunità viva e nessuno può rassegnarsi ad una decadenza dell'Autonomia, ma lavorare per un suo rilancio. So quante delusioni ci siano state lungo il cammino di tentativi che si sono fatti e quanti in buona fede di siano sentiti abbindolati da chi aveva promesso quanto non è stato mantenuto nel nome di quel prezzemolino che è stata la parola "cambiamento" e il timore è che ci siano sempre e solo elezioni di mezzo. Ma le circostanze richiedono comunque sforzi e ogni tanto io stesso mi domando se possano avere successo, specie quando mi accorgo che avere esperienze o conoscenze spaventa molti apparsi sulla scena per circostanze favorevoli più che per capacità e si accorgono di vivacchiare meglio nella confusione e nella ignavia che nella chiarezza e nella laboriosità.