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03 lug 2018

Il solco fra Montagna e Pianura

di Luciano Caveri

Sul sito "giudicarie.com" trovo, smanettando alla ricerca di notizie alpine ed approfondimenti di stampo montano, il blog di Marco Zulberti, molto interessante per le sue riflessioni. L'ultimo della serie riguarda un commento ad una notizia di cronaca, che l'Ansa aveva così sintetizzato: «La prima sezione centrale d'appello della Corte dei conti ha condannato l'ex presidente della Provincia di Bolzano, Luis Durnwalder, e l'ex direttore dell'ufficio caccia e pesca della Provincia, Heinrich Erhard, al pagamento di oltre un milione di euro quale risarcimento del danno erariale provocato dai decreti emessi fra il 2010 ed il 2014, con i quali veniva autorizzata la caccia di specie faunistiche protette. La sentenza accoglie il ricorso della procura regionale della Corte dei conti contro la sentenza di primo grado, che aveva condannato Durnwalder ed Erhard al pagamento di 6.192 euro ciascuno. "L'abbattimento degli animali - affermano i giudici - veniva sistematicamente disposto senza che ne ricorressero i presupposti". La sentenza accoglie quindi la quantificazione del danno operata dalla Procura regionale pari a 1.136.250 euro. Durnwalder e Erhard sono stati condannati a pagare 568 mila euro ciascuno. Nell'appello si erano costituite in giudizio anche la "Lav" e la "Lac"».

Osserva acutamente Zulberti: «Negli ultimi anni le pagine dell'informazione locale si sono sempre più occupate delle cronache riguardanti la fauna alpina con orsi, lupi, cinghiali, aquile, cervi, pecore, maiali e galline, diventati soggetto centrale che riempie costantemente le prime pagine per la felicità dei lettori cittadini che si sentono attorniati positivamente da una montagna tornata selvaggia, che alimenta la fantasia della classe dirigente, felice di vivere in una sorta di ritrovato paradiso terrestre. In queste cronache di avvistamenti ravvicinati, investimenti, con gli orsi come protagonisti, e più recentemente con il lupi, non si contano più ormai anche i danni e le difficoltà che una tale espansione delle specie protette creano all'uomo "selvaticus", che invece ahimè ancora vive sulle montagne, dove cerca di condurre le ultime stalle e allevamenti, curare gli ultimi prati, tagliare gli ultimi boschi, e che non è ancora estinto, nonostante le mille regole che i cittadini hanno emanato sugli scranni dei parlamenti centrali perché si allontanino per sempre da quella vita orribile, grezza e ottusa, del montanaro. Allora anche la notizia che un politico come Dürnwalder, che si è schierato alla difesa delle ragioni di questi ultimi "bauer", venga multato in modo esemplare da Roma, in modo da avvertire quanti in futuro volessero seguirne l'esempio, deve innescare una seria riflessione». Prima di proporvela segnalo alcuni aspetti della sentenza, che segnala come dal 29 luglio 2010 al 20 giugno 2014 siano stati circa cento decreti di autorizzazione al prelievo fuori periodo di specie quali volpe, merlo, cornacchia e ghiandaia e di autorizzazione all'abbattimento per cormorano, tasso, marmotta, faina e stambecco. «"Il danno - si legge all'interno della sentenza mentre si spiegano i fatti - consisterebbe, quindi, nell'abbattimento di 2.655 esemplari di specie protette in assenza delle condizioni richieste dalla legge e nell'abbattimento di 96 esemplari in forza di provvedimenti di prelievo in deroga (...) da configurarsi come illegittima distruzione di beni pubblici". Tra le linee di difesa dell'ex presidente della Provincia di Bolzano e del suo direttore vi era l'impossibilità di quantificazione del danno erariale (a quanto ammontava per animale sano, malato, anziano, giovane?) e si cercava di spostare l'attenzione sul concetto di benessere generale dell'ambiente ricordando che questi prelievi sarebbero serviti proprio a garantire un equilibrio naturale, scientificamente certificato. Ma la Corte dei Conti d'Appello pare non avere dubbi definendo ''abnorme e arbitrario'' la scelta di abbattere questi animali. E specifica che "emerge con chiarezza che (...) l'abbattimento degli animali veniva sistematicamente disposto senza che ne ricorressero i presupposti, trasformando uno strumento eccezionale in ordinario mezzo di prelievo di specie altrimenti non cacciabili o cacciabili solo in determinati periodi secondo logiche che l'Erhard ha ben illustrato nella dichiarazione confessoria". L'Erhard, infatti, ha spiegato che la gestione attiva, per lo stambecco, "ha trovato la sua giustificazione in riferimento all'interesse culturale e venatorio e in relazione al valore del trofeo (...) tenendo conto delle esigenze dell'economia montana, dell'interesse venatorio e politico, delle richieste da parte delle riserve e degli agricoltori, cercando sempre di difendere l'autonomia della Provincia"». Così la Corte dei Conti ha affondato la lama in un aspetto autonomistico, che spesso veniva citato in Valle d'Aosta dai nostri cacciatori. Arriva il danno erariale laddove non esiste altro tipo di reato... Lascio, perciò, la parola a Zulberti: «La montagna antropizzata, ricca di paesi e valli piene di attività artigianali, con l'agricoltura e gli allevamenti che sfruttavano ogni angolo fino al limite delle rocce per estrarne un reddito, con le sue processioni dei patroni, con la banda musicale e i cori parrocchiali e di montagna, oggi sta scomparendo per sempre. Mille norme la stanno annientando. Chi possiede un vecchio maso, un vecchio "casinel", non riesce a mettere a posto due tegole, a cambiare un serramento, a tagliare una pianta, a restaurare un camino senza dover affrontare la "selva", quella sicuramente più cattiva, dell'apparato burocratico, pronto solo a denunciare qualsiasi anomalia o comportamento che metta in discussione le leggi sulla sicurezza o sul paesaggio, mentre chi se lo può permettere costruisce tutto in deroga. Dove questa vecchia vita montana sopravvive lo è solo per una sorta di fiction da riserva indiana, finanziata dagli uffici turistici, con finte feste, finti carnevali, finte sagre, che di originario non vi hanno più nulla e dove gli ultimi montanari, gli ultimi "bauer", sono pagati per vestire in modo tipico e tagliare i prati per non urtare lo sguardo dell'intellettuale cittadino, che ama osservare l'aria bucolica di contadini antichi che vivono in una simbiosi "poetica" con orsi, lupi e aquile. Ma questo solo nei pressi della località turistiche. E intanto la montagna e la sua economia crollano, scompaiono, con gli ultimi montanari che si devono difendersi dalle carte bollate, dai tecnici comunali, districarsi tra le mille norme e oggi anche da una convivenza con una fauna che per secoli era rimasta residuale. La decadenza economica del Trentino rispetto all'Alto Adige sta anche in questa assenza di un politico come Dürnwalder, che sappia schierarsi con la vera vita della gente di montagna, senza umiliarla ad una fiction da "riserva indiana" come la sta riducendo la giurisprudenza emessa dalla classe dirigente cittadina. Quando il principe vescovo Wanga di Trento nei primi decenni del 1200, concesse alle maestranze minerarie montane trentine, ai "silberer", l'autonomia nella gestione della giustizia (il toponimo della Judicaria sembra arrivare da quel tempo), ne riconosce anche la libertà di gestione economica della montagna. E questa autonomia della montagna non era una prerogativa solo trentina, ma valeva per tutta la montagna italiana. Oggi, con l'avvento dello Stato nazionale, la progressiva decadenza della montagna, sembra spiegabile proprio con la progressiva sottomissione della vita di montagna alle leggi, alle norme, alle tassazioni, a quella economia di scala e di mercato imposte dalla città, compresa quest'ultima fase dove non si parla più della vita e dei problemi delle comunità montane ma degli orsi, dei lupi, dei cinghiali, delle aquile che la stanno riprendendo. Osservando i ruderi delle case rurali che vedo sparsi per molte vallate periferiche trentine c'è da chiedersi se in città sono consci di quanto un orso, osservato attraverso "Youtube" sia più falso e più fiction, di questo progressivo e concreto avanzare della "riserva indiana". La montagna oggi "ribolle" come "ribolle" la pianura e la necessità di un cambio radicale nell'autonomia della sua gestione non riguarda quella regionale con lo Stato, ma quelle molto più corta con i suoi stessi capoluoghi cittadini». Ottimi elementi di riflessioni sui rischi colonialistici emergenti e sullo stridere fra Montagna e Pianura, compresa la mentalità cittadina e un protezionismo che sceglie per partito preso e senza alcuna analisi l'animale e non il montanaro.