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24 giu 2018

Oggi a te domani a me

di Luciano Caveri

Vedi il caso: mentre sbircio su "Twitter", nel cercare qualche notizia come da abitudine in questa parte digitale della mia vita (cosa facevamo prima in certi momenti?), trovo una rubrica dedicata ai proverbi. Premetto che mi piacciono tanto i proverbi: sono una sterminata collezione di saggezza in pillole, come dei pensieri in miniatura, che riducono grandi ragionamenti in poche parole che possono essere di una semplicità disarmante oppure così complicati da dover scomodare la semantica. Messi nel cassetto della memoria, sono pronti all'uso con la loro carica piena di storia e di arguzia multifunzionale. Oltretutto sono per ciascuno un caso preclaro di ereditarietà, perché mi trovo - capiterà a tutti - ad adoperare certe espressioni che non sono niente altro che il patrimonio culturale orale trasferitomi dai miei genitori, familiari e conoscenti, introiettato e fatto diventare oggetto delle mie conoscenze, pronto a tornare in superficie quando utile.

Quel che mi sono ritrovato sotto gli occhi come segnalazione quotidiana della succitata rubrica è il ben noto e ammonitorio: «Oggi a te domani a me». Così spiegato nello svolgimento: "Mette in evidenza l'alternanza della buona e della cattiva sorte e invita a mantenere un atteggiamento umano di fronte a entrambe, esorta a non consumarsi nell'invidia per la buona sorte altrui e a non deriderne la sfortuna poiché un giorno potrebbe accadere di trovarsi nella medesima condizione. Il concetto viene espresso anche con la frase: «Una volta per uno non fa male a nessuno»". Giustissimo invito alla cautela nel giudizio e utile per riflettere sui propri atteggiamenti, sapendo quanto distacco ci vuole nell'esaminare le situazioni ed esprimere giudizi. Ci devo riflettere spesso per un mio evidente difetto di essere piuttosto tranchant nelle cose e ogni tanto è meglio contare fino a dieci. Ma la frasetta torna a fagiolo quando constato con triste regolarità l'emorragia che da anni colpisce il movimento politico - l'Union Valdôtaine - in cui ho vissuto larga parte della mia vita ed a cui devo, avendomi candidato, la riconoscenza da estendere agli elettori che tante volte mi hanno dato fiducia. Quando parlo di emorragia mi riferisco a due fattori. Il primo è il lento declino in termini di voti e di iscrizioni: non sto qui ad elencare quanto avvenuto in questi ultimi anni. Fatto sta che il crollo di queste recenti elezioni ne è il segno evidente e si sa che le tessere sono un segno marcante di un distacco di larga parte dei militanti del passato e non solo alle urne. Ma l'altro aspetto, da me stesso vissuto (e ripetuto purtroppo nell'esperienza alternativa anch'essa in crisi di consensi dell'Union Valdôtaine Progressiste), è stato quello di trovarmi nelle condizioni di dovermene andare per l'impossibilità di esercitare elementari diritti democratici e per una sorta di incompatibilità ambientale cui venni costretto. Acqua passata, ma altri prima di me l'avevano vissuta e forse non ero stato abbastanza attento alle loro buone ragioni ed anche ora qualcuno se ne va via sempre nella linea, come dicevo, di elettori e militanti stufi. Un fenomeno che non si arresta e non solo, per essere oggettivi, nell'Union Valdôtaine e che dimostra come i vecchi partiti e movimenti stentino a trovare mediazioni che consentano pluralismo interno, che evitino fughe e anche polverizzazioni e la tentazione - come ha osservato un'amica giornalista - di far nascere partiti condominiali o, aggiungerei, aggregazioni che sono come iil vestito di Arlecchino (non parlatemi poi di "fronti democratici" che portano sfortuna solo ad evocarli). «Oggi a te domani a me» sembra diventare così la normalità e ciò accresce una dispersione di energie e colpisce tutti, come ben visibile nella politica valdostana ma si potrebbe scegliere quella italiana e di altri Paesi europei e ciò va ormai al di là del tasso normale, diventando una sorta di virus nella Democrazia e purtroppo non il solo. Mi è nota la diagnosi meno la cura, falliti oltretutto quei partiti personalisti che sembravano essere dominanti sulla scena, ma che muoiono con la leadership sempre più breve dei big del momento. E sarà lo stesso destino del fenomeno populista oggi in auge, quando aggrega anime diversissime che poi dimostrano difficoltà di convivere senza che ciò inneschi conflitti insanabili che prima o poi fanno scoppiare tutto. Insomma: regna una certa confusione su cui bisognerebbe intervenire con del "Bostik" per mettere assieme i pezzi del vaso rotti. Verrebbe comunque da dire... con un proverbio: «chi ha tempo non aspetti tempo».