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06 giu 2018

Un libro... di corsa

di Luciano Caveri

Ogni tanto di fronte ad un libro, naturalmente finita la sua lettura, ci si domanda di quale genere sia, ammesso che poi alla fine i confini dello scrivere possano davvero essere etichettati in modo così preciso appunto nelle logiche dei generi. Sarà per questo che sono un lettore onnivoro, perché mi piace costruire ponti e non essere chiuso in recinti. e posso dire - questo e quel che conta - di avere vissuto la vita d'altri. Scriveva infatti Umberto Eco: «Chi non legge, a settant'anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto cinquemila anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito... perché la lettura è un'immortalità all'indietro».

Ma veniamo al punto: si tratta di narrativa di viaggio, detta anche dottamente letteratura "odeporica" (dal greco "ὁδοιπορικός, da viaggio"), oppure è una forma di diario metropolitano ad uso del turista? Non so, ma quel che so è che non è una guida da viaggio di quelle tradizionali, semmai un racconto di vita vissuta, in questo caso nella metropoli per eccellenza, New York. Mi riferisco all'ultimo lavoro di Chiara Marchelli, scrittrice di origine valdostana (lo dice a pagina 70!), giramondo al momento newyorkese e per questo ci fa il regalo di questo suo "New York, una città di corsa" con l'avvertenza "A perdifiato nella Grande Mela" di Giulio Perrone editore, nella collana "Passaggi di dogana". Guardate che Chiara corre davvero ed è - penso che si dica così - una appassionata non agonista da mezza maratona (attorno ai venti chilometri). Così le sue corse, roba seria da tempo, diventano l'occasione per l'autrice per percorrere - a nostro beneficio - zone della città, di cui si scoprono diversi aspetti attraverso aneddoti, storie di vita, architettura, pensieri in libertà con attenzione ai suoi colleghi scrittori, spesso genius loci di certi quartieri. In epoca di voci algide dei navigatori satellitari, Chiara parla al cuore e propone cultura (anzi, multiculturalismo), da cui emerge la ricchezza della città e delle sue etnie, impastate in uno spirito cosmopolita che aleggia con le sue gioie e anche i suoi dolori. Non è, quella proposta, una visione rosa e fiori da cartolina, ma un "on the road" vissuto ed informato con predilezione per i Parchi che puntegggiano la grande città e valido per una comprensione delle tante cose che si impastano con i territori. Emerge una città che somiglia ad una torta a più strati, fatta di tante città diverse ed assieme complementari, che danno il senso di una megalopoli costruita in una sovrapposizione di generazione di persone che ne hanno forgiato un'identità piena di ricchezza e di contraddizioni, facendone un fenomeno mondiale ricco e suggestivo che dona quanto più importante nella vita: lo stupore. Con Albert Einstein: «Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per cosi dire morto; i suoi occhi sono spenti». Un runner si metterà nella pelle, anzi nelle scarpe, di Chiara, ma anche chi non corre troverà storie suggestive per scoprire particolari diversi da quelle guide con cartine ma senza prosa, con tante foto ma senza la poesia di una testimonianza. Quel che emerge è comunque - me lo aveva detto Chiara l'unica volta che la incontrai - quanto sia vera la capacità di possessione di New York, che finisce per essere un punto d'arrivo che strega e ammalia. L'ultimo, undicesimo capitolo, dopo aver fatto un tour pieno di spunti per un viaggio a New York, riguarda infine il piacere e i benefici della corsa con una singolare analogia fra scrivere e correre. Che la scrittura sia una piacevole fatica e talvolta persino un rovello lo posso testimoniare nel mio minuscolo. Da anni, ogni giorno, affronto questo mio piccolo cimento - che piova o che tiri vento, che sia in forma oppure no - ma la scrittura finisce per essere una prova quotidiana con me stesso. Esattamente come un performance sportiva, ma usando l'intelletto, che macina parole e non chilometri!