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12 apr 2018

La vita è mia

di Luciano Caveri

La notizia, tratta dal "Fatto quotidiano", era così efficacemente riassunta: "Marco Cappato lottò per la dignità di dj Fabo o commise un reato? E' quanto deve stabilire la Consulta, a cui sono stati trasmessi gli atti del processo affinché valuti la legittimità costituzionale del reato di aiuto al suicidio. Lo ha deciso la Corte d'Assise di Milano nel procedimento contro l'esponente dei Radicali e tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, imputato per la morte di Fabiano Antoniani, 40 anni, noto come "dj Fabo", in una clinica svizzera col suicidio assistito il 27 febbraio 2017, a due anni e otto mesi dall'incidente in auto che lo ha reso cieco e tetraplegico. In un passaggio dell'ordinanza letta per oltre un'ora dalla Corte d'Assise di Milano, è sottolineato chiaramente che all'individuo va "riconosciuta la libertà" di decidere "come e quando morire" in forza di principi costituzionali. Per i giudici, Marco Cappato non ha rafforzato il proposito suicidiario e la parte della norma che punisce l'agevolazione al suicidio senza influenza sulla volontà dell'altra persona è costituzionalmente illegittima. Due, nella fattispecie, i profili di incostituzionalità: l'equiparazione tra aiuto e istigazione al suicidio (articolo 580 del codice penale) e la conseguente sproporzione della condanna per l'aiuto al suicidio (dai 6 ai 12 anni, come per l'istigazione)".

Ricorderete il caso di cronaca: Cappato accompagnò nella clinica svizzera dov'è consentito, come in altri Paesi del Vecchio Continente, il "suicidio assistito" e la scelta finale - drammatica ma consapevole - fu quella, da parte di Fabo, di morire. Ripeto: consapevole ed è certo meglio che buttarsi da una finestra o aprire il gas per farsi fuori. Ricordo che i pubblici ministeri (che già avevano chiesto l'archiviazione della posizione) hanno concluso la requisitoria chiedendo in tesi l'assoluzione o, in subordine, l'incidente di costituzionalità. Questa fu appunto la strada scelta dal Tribunale di Milano che, con sentenza, ha rimesso gli atti alla Consulta affinché valuti - come dicevamo - la compatibilità con i principi costituzionali della norma incriminatrice in questione, che punisce l'istigazione o l'aiuto al suicidio. L'aspetto grottesco è che in queste ore - malgrado gli appelli alla terzietà - in giudizio è intervenuto il Governo Gentiloni, a firma della solita Maria Elena Boschi, nella sua veste di vice presidente del Consiglio, sostanzialmente contro il Tribunale di Milano e la sua richiesta, quindi a difesa della norma penale di epoca fascista e contro il povero Marco Cappato, considerato - pur con certe attenuanti - colpevole del reato contestato persino dalla pubblica accusa! L'atto, spogliato dalla sua componente tecnica del linguaggio giuridico, maschera una scelta politica che lascia esterrefatti, perché adombra l'evidente impossibilità di ciascuno di noi - naturalmente a fronte di situazioni disperate e inguaribili - di poter disporre della nostra vita, immaginando in più che chi ci possa essere vicino in certe circostanze drammatiche sia solo un complice, colpevole di violazioni del codice penale. Ben diversa era la strada della propria assunzione di responsabilità che, invece, la pubblica accusa aveva considerato di fatto legittima, innovando la posizione passatista di una politica italiana assai ipocrita sul tema per l'evidente incapacità di ragionare in termini laici su un tema così importante. Questo - va chiarito - non precluderebbe affatto ogni diversa scelta confessionale per chi voglia morire di morte naturale, a costo di terribili sofferenze. Invece il Governo astrologa sul "diritto alla vita", considerandola di fatto una sorta di proprietà "pubblica" in barba al diritto all'autodeterminazione che ritengo sia invece - ripeto di nuovo in determinate condizioni e mai a casaccio, ed anche in Svizzera così si opera - un diritto inalienabile della persona. Mentre nell'atto di fronte alla Consulta si torna su argomenti speciosi sulla "condotta dell'istigatore", che come noto, invece, si è limitato ad accompagnare la persona su sua precisa e lucida richiesta e l'atto finale è stato del tutto nelle mani del malato, considerato dal personale medico elvetico come in grado di esprimersi sulla scelta letale. So bene che sono argomenti che non possono essere trattati alla leggera, ma che un Governo - ormai a fine corsa - compia questa scelta di comparire in giudizio di fronte alla Consulta, dando una coloritura tecnica ad una scelta politica, che viola - a mio modo di vedere - un idem sentire che il legislatore tremebondo non osa trasferire in norme per non dispiacere, è davvero grave e fa riflettere su cosa sia l'ordinaria amministrazione. In più illumina la scena su certi progressisti, che di fronte ai Diritti civili si rifanno ai cavilli giuridici, che servono a celare una visione dirigista, autoritaria e integralista sulla vita di ciascuno di noi in spregio al nostro libero arbitrio.