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14 mar 2018

"L'Orologio di Milano" e la Giustizia

di Luciano Caveri

Ce l'avete presente il gioco da bambini chiamato "L'orologio di Milano fa tic tac"? Si traccia una linea ideale ad una certa distanza dietro la quale si allineano i giocatori. Chi fa "l'orologio" si mette con la schiena rivolta ai compagni e, il più velocemente possibile, reciterà la frase: «l'orologio di Milano fa tic tac...», al termine si gira verso i compagni, constatando la loro immobilità o no. I bambini dovranno cercare di arrivare a toccare chi "sta sotto" alle prese con la recitazione della tiritera. Chi verrà sorpreso in movimento dovrà retrocedere al punto di partenza. Il bambino che prima toccherà il muro nella mano diventerà… "l'orologio".

Ci pensavo - anche se l'esempio sembrerà stupido - rispetto ai tempi della Giustizia, che oggi sono uno degli argomenti cardine della Politica valdostana, investita da una serie di inchieste e anche da processi in svolgimento nei diversi gradi di giudizio, tenendo conto delle due giurisdizioni cardine, che sono la Giustizia penale e quella contabile della Corte dei Conti, cui si aggiunge - di tanto in tanto - il pronunciamento della Giustizia amministrativa su temi rilevanti per la macchina regionale. Aggiungerei anche le sentenze della Corte Costituzionale, attesissime ora in materia finanziaria per i "prelievi" forzosi dalle finanze regionale, che non seguono purtroppo il ritmo delle leggi di Bilancio regionale proprio per la lunghezza nei tempi di trattazione delle cause da parte della Consulta. Ora, chi è onesto ritiene che l'azione penale e le altre giurisdizioni siano un bene, sempre nel rispetto dei ruoli reciproci nell'equilibrio sempre delicato fra poteri della stessa Repubblica (parlare di Stato sarebbe fuorviante). Per altro nella dialettica fra accusa e difesa si inseriscono i giudici dei diversi gradi, cui spetta il compito di fissare l'asticella e in qualche modo svelare quella che processualmente diventerà la verità a sentenza definitiva. Prima esiste una presunzione di innocenza, che sappiamo essere talvolta una foglia di fico di fronte a vicende preclare. Cosa c'entra l'orologio? Fatti salvi i meccanismi di prescrizione e quelli di riabilitazione, in certi passaggi - come oggi in Valle d'Aosta - in cui ci sono molti dossier incandescenti che riguardano larga parte degli esponenti politici in attività, oltretutto alle soglie delle elezioni regionali, il "tic tac" dell'orologio conta moltissimo, così come conta molto - lo dico da vecchio giornalista - l'interpretazione delle vicende come letta fin dalle prime fasi da chi fa informazione, a partire da un semplice avviso di garanzia. Si è ingenerato, nel dilatarsi dei tempi di giudizio, uno sport tutto italiano di processi sommari fatti sui giornali con titoloni che, in caso di ridimensionamento dei fatti o di assoluzione, diventano "titolini" rispetto al fragore precedente. In tanti casi il patatrac è fatto. A vantaggio delle persone corrette e pur comprendendo la necessità di indagini sempre più accurate, credo che questa questione dei tempi sia essenziale. Ogni tanto inchieste attesissime nei propri esiti si inabissano con richiesta, per carità legittima, di allungamento dei tempi per acclarare meglio quanto necessario, ma nel frattempo scorre il tempo sul nostro orologio e il rischio è che si faccia di ogni erba un fascio e la condanna coram populo, prima di qualunque sentenza vera, finisca per essere ausiliaria di chi fa la politica con la falce della Morte solo per colpire in modo indiscriminato la "vecchia politica". Già il passaggio fra la cosìddetta "Prima Repubblica" e la "Seconda Repubblica" ha avuto aspetti clamorosi perché sembra a tutt'oggi che quanto scoperchiato abbia saputo abilmente riproporsi con logiche di malaffare che hanno solo cambiato casacca, ed osservo come certi voti in zone del Sud siano considerati manipolati dalle mafie solo a seconda di chi vince le elezioni con bizzarri distinguo. I tempi, insomma, fanno la differenza e molto è in mano ai cittadini, cui spetta il compito di scegliere in politica persone oneste e di rifiutare il ritorno di chi ha dimostrato in passato di non esserlo. La scelta di eletti a casaccio, solo per la forza della logica della violenza verbale contro chi governa o ha governato, assume una valenza grottesca, perché non si scelgono "ottimati" per cambiare la solfa, ma persone con scarsi curricula che, alla prova dei fatti, non sanno bene cosa fare alla guida di macchine amministrative complesse o quando nelle proposte si passa dalle gride manzoniane alla praticità delle scelte. Storie complesse che sembrano ruotare attorno al principio, estensibile a tutti i poteri dello Stato, della leale cooperazione, definizione di stampo comunitario, che va a puntino rispetto allo sforzo corale che si deve fare per il bene ultimo della Repubblica, ciascuno nel proprio ambito ma in una logica di migliorare il sistema complessivo. L'alternativa pericolosa sono i paletti che saltano in una sorta di "Bellum omnium contra omnes" (la guerra di tutti contro tutti), da sempre anticamera di svolte autoritarie.