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13 mar 2018

Quella par condicio vale solo per i "piccoli"

di Luciano Caveri

Nulla è semplice nell'analisi delle vicende politiche: è interessante come lo stesso fenomeno venga visto, specie nel dopo voto, in maniera molto diversa. Trionfa - specie nella logica di mai dimettersi a fronte di sconfitte cocenti - un certo giustificazionismo: troppo spesso non si ha il coraggio di ammettere débâcle ed errori e questo comporta - e non ce ne sarebbe davvero bisogno - un ulteriore solco fra politica e cittadinanza. Questo solco, fattosi fossato, finisce per falsare ogni visione e si rotola alla fine da parte di chi ragiona "di pancia" o seguendo slogan suggestivi ma vuoti nel populismo becero, che dà fuoco a tutto, come se le ceneri fossero un elemento consolatorio e purificatore. Così nasce la tentazione di inseguire il pifferaio magico di turno, che - spesso senza alcuna buona ragione dalla sua - promette mari e monti e chi è schifato e chiede discontinuità viene imbarcato - in assoluta buona fede da parte sua - in un'avventura senza destinazione. Peggio ancora quando si finge di voler davvero condividere una speranza.

Ricordate la frase di Antoine Saint-Exupéry? «Si tu veux construire un bateau, ne rassemble pas tes hommes et femmes pour leur donner des ordres, pour expliquer chaque détail, pour leur dire où trouver chaque chose... Si tu veux construire un bateau, fais naître dans le cœur de tes hommes et femmes le désir de la mer». La disillusione, quando si scoprono certi bluff rispetto alla realtà, crea sconcerto e rabbia. D'altra parte se il quadro politico è diventato sconcertante, fatto di andirivieni inspiegabili, rivalità che sbocciano in amori, malaffare che indigna e spaventa, allora si capisce perché ci si infili in strade nuove, prescindendo dal fatto che portino verso il baratro e non verso la soluzione dei problemi. Da un certo punto di vista la campagna elettorale, rispetto alla situazione valdostana, è un legno storto. Mentre in ambito locale agiscono le norme stringenti della par condicio (per cui nelle rare trasmissioni televisive si è tutti sullo stesso piede), in ambito nazionale questo misurino non esiste, nel senso che la parità d'accesso alle trasmissioni premia i leader delle grandi coalizioni, anche se - paradosso ulteriore - da noi il premierato non solo non esiste in Costituzione, ma - come nel caso di Matteo Renzi, il dimissionario senza dimissioni - ci può essere un presidente del Consiglio non eletto. Ciò deriva anche dal fatto che i partiti in Italia su base regionale sono pochissimi: qualche caso a Trento e Bolzano (dove la Südtiroler Volkspartei ha letteralmente sbancato in un mondo germanico che non insegue i fantasmi italici), gli sloveni in Venezia Giulia e poi il caso della Valle d'Aosta, un tempo con formazioni maggiormente aggregate, oggi assai disperse. Una dispersione che non è un capriccio, ma deriva in primis dalla gestione antidemocratica ed accentratrice della leadership ormai solitaria nell'Union Valdôtaine, che ha portato ad una diaspora infinita. Molti se ne lamentano, ma dovrebbero capirne la genesi, che non è la cattiva volontà di chi decidere di ottenere una propria libertà, ma è semmai un «no» a diktat che nascondono opacità, che poi si manifestano in diverse inchieste giudiziarie con intrecci che sviliscono la nostra comunità. Si invertirà la tendenza, tornando a riaggregare, nel segno di un'onestà indispensabile? Prima o poi di certo, anche perché se si riaggregano le forze autonomiste, dimostrando amore per la cosa pubblica e progettualità per il futuro malgrado la "italianizzazione" della politica e della società locali, non ce ne sarebbe per nessuno. Ma ci vorrebbe il coraggio di passi indietro di chi condannato o moralmente compromesso: questa è la parte difficile ed esiste una responsabilità di quella parte di elettorato che sembra sorda e cieca rispetto alle azioni di chi ha compromesso la credibilità della nostra Valle e che si fa forte di un sostegno popolare, intendendolo come una lavatrice contro tutte le macchie. Ma torniamo al tema, partendo da un assunto. Per riffa o per raffa la televisione resta, anche con la possibilità di scelta di rivedere spezzoni delle trasmissioni sulla Rete, il mezzo di maggior penetrazione sull'elettorato, specie quello meno accorto e consapevole. Ragion per cui la "Signora Maria" e il "Signor Filippo" in salotto di fronte alla televisione ricevono, anche da qualunque comunello della Valle, un bombardamento di immagini e di slogan dei leader nazionali, che riversano poi nel voto nel nostro collegio uninominale. La potenza di fuoco delle forze politiche locali è davvero impari, non essendoci neppure possibilità di competizione sotto questo profilo. Morale? Boh! Ci vorrebbero forme di comunicazione politica non così palesemente distorte a vantaggio dei "grandi".