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25 feb 2018

Il compleanno di chi non c'è più

di Luciano Caveri

In questi giorni mio papà avrebbe festeggiato il suo compleanno. In realtà è morto alla veneranda età di 86 anni nel 2009. Mi capita però di pensare, in questi tempi che appaiono difficili, di che tipo di vita abbia fatto quella generazione di genitori, perché è sempre utile comparare i tempi presenti con quanto loro si trovarono ad affrontare. Non si tratta di avere motivi consolatori rispetto alla situazione attuale, ma di ricordare - per rispetto e verità dei fatti - che cosa loro abbiano vissuto. Mio padre era nato nel 1923 (per caso ciò avvenne a Belluno, dove mio nonno era Prefetto): era - ormai quasi un secolo fa - il periodo in cui iniziava di fatto quel Ventennio fascista che porterà quei neonati a vivere a crescere dentro una dittatura. Per contestualizzare: esce il libro "La coscienza di Zeno" di Italo Svevo, nell'azionariato della "Juventus" entra la famiglia Agnelli, Adolf Hitler finisce in prigione dopo il fallito primo putsch di Monaco, a Davos c'è la prima gara internazionale di un nuovo sport, l'hockey su ghiaccio.

A casa mio padre - essendo mio nonno Renato, uomo dal rigore ottocentesco, costretto a lasciare la carriera prefettizia, tornando fisso ad Aosta, dove diventa amministratore dell'Ospedale Mauriziano - respira l'aria di una grande famiglia con fratelli e sorelle inquadrati da mia nonna, Clémentine Roux, donna energica e punto di riferimento del mondo cattolico. Sono i fratelli più grandi, Antoine e Séverin, a fissare - congiuntamente con il loro papà - l'indiscutibile linea antifascista della famiglia, che è già una cesura rispetto al conformismo della società valdostana tiepidamente aderente al Regime. Papà, appena ventenne, vive almeno tre passaggi da cui si evince l'aria difficile di quei tempi: è poco più che un ragazzo quando accompagna ebrei in fuga verso la Svizzera lungo i sentieri verso la conca di By e lungo lo stesso itinerario portò l'amato fratello Séverin in esilio, perché minacciato di morte dai fascisti per la sua attività politica. Nel maggio del 1944, vive da vicino la morte di Émile Chanoux, amico di famiglia, e poi l'internamento in Germania e poi in Polonia, scoprendo da vicino quel che capitava ad Auschwitz. Passa un anno terribile, che lo convincerà a lasciare Giurisprudenza, dopo avere dato alcuni esami del primo anno prima dell'esperienza della prigionia, scegliendo Veterinaria («scoprii che il Diritto non esisteva: meglio gli animali degli uomini...»). Il ritorno ad Aosta avviene in quegli anni cruciali per l'Autonomia, mentre studia, inizia la professione, fonda la nostra famiglia, portandosi sempre dietro - accanto ad un carattere espansivo e simpatico - quel bagaglio di "spleen" dovuto - io credo - a quella paura di morire che aveva vissuto e gli orrori di cui era stato testimone. Poi il secondo dopoguerra con quella lunga cavalcata verso la ricostruzione, il benessere crescente, un mondo fatto di amicizie e di voglia di costruire. Queste due facce della medaglia - uomo vissuto in anni terribili e poi con il vento della democrazia - ne faceva, come per molti allora, una sorta di Giano bifronte con un lato scuro ed uno solare. Con gli ultimi anni della vita, l'incredibile accelerazione di una modernità a passi da gigante lo avevano reso vecchio anzitempo per la difficoltà di un uomo degli anni Venti di leggere fino in fondo la realtà, adeguandosi, ai grandi cambiamenti in corso in un batter di ciglia. Eppure non bisogna dimenticare che cosa hanno fatto e la memoria non vale solo come astratta riconoscenza, ma vale anche il virus del rimpianto, che ognuno porta, delle tante cose non dette per la banalità dei rapporti quotidiani, specie quando - da giovani - non si valuta abbastanza quanto le persone care possono darci e ciò vale soprattutto per certe esperienze che non abbiamo saputo capire al momento opportuno. Con il rischio, poi, di serbare qualche rammarico per radici perdute di cui avremmo dovuto avere maggior consapevolezza. Esiste la grande Storia, quella imparata sui libri e oggetto sempre di continua scoperta e riscrittura, poi esiste - più modestamente - la storia personale che si incrocia con i grandi avvenimenti, ma si nutre in realtà delle vicende grandi e piccole, fortunate e sfortunate, causate dal destino o dalle scelte, che sono come ritratti di famiglia appesi al muro che ci ammoniscono sulla linea che dobbiamo tenere non solo per noi, ma per chi ci ha forgiato e ci ha voluto bene.