Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
12 nov 2017

Il voto e il "non voto" in Sicilia

di Luciano Caveri

Ho scritto tante volte dell'invidia che un valdostano dovrebbe provare nei confronti dello Statuto della Regione Siciliana, che ha tratti - per molti versi inespressi - di un'Autonomia senza eguali nella sua vastità, anche se rapportata allo Statuto valdostano. Ma appunto molto è rimasto sulla carta, perché si sono preferite altre strade e il palcoscenico di Roma è sempre stato considerato da grandi personalità isolane come più importante che interpretare il proprio autogoverno. Ci pensavo rispetto all'esito del voto - attesissimo come non mai in vista delle Politiche per un parallelismo dubbio - che oggi sono noti, dopo la fine della terribile lentezza dello scrutinio dei voti e dopo intere serate costruite sugli "exit poll", con il rischio di discutere di esiti incerti. Vince ma non stravince il centrodestra, in una confusione di alleanze che fa impressione. Perde il Partito Democratico ed il resto della Sinistra e ci si chiede se Matteo Renzi continuerà a far finta di niente.

Raccoglie un successo notevole - ma pensava di stravincere - il "MoVimento Cinque Stelle", che ha ormai un suo elettorato che non corrisponde più agli scontenti che scelgono invece, con tutta evidenza, il "non voto". Naturalmente in quattro righe non si può dire tutto, ma francamente mi pare che sia sufficiente, e lo dico anche per una certa pesantezza derivante da battibecchi televisivi che a mio modesto avviso ingrasseranno le file degli scontenti. Mai uno che vada e dica: «ho perso!». Resta poi una grande cautela, quella di ricordare che il voto siciliano non può essere considerato davvero un test davvero probante per le Politiche e non solo per il tasso ormai terribile di astensionismo - che mi pare la vera emergenza su cui fare un ragionamento generale - ma perché la Sicilia resta un unicum irripetibile sullo scenario della politica nazionale. Ha scritto lo scrittore siciliano Gesualdo Bufalino: «Tante Sicilie, perché? Perché la Sicilia ha avuto la sorte ritrovarsi a far da cerniera nei secoli fra la grande cultura occidentale e le tentazioni del deserto e del sole, tra la ragione e la magia, le temperie del sentimento e le canicole della passione. Soffre, la Sicilia, di un eccesso d'identità, né so se sia un bene o sia un male». Gli fa eco un altro scrittore, Andrea Camilleri: «I siciliani vivono male la loro condizione di essere siciliani, sono sempre alla ricerca di qualcosa di diverso dal presente. Anche in politica, sono sempre insoddisfatti della realizzazione del proprio voto nell'atto stesso nel quale si realizza, perché attraverso di esso hanno ottenuto solo normalità. Si dicono: "vogliamo vedere se cambia qualche cosa?" votano e cambiano, e qui torniamo al Principe di Salina in tutto il suo splendore. Hanno cambiato tutto e non hanno cambiato niente». Questa è una maledizione ben nota, che - questa sì - pesa ormai sulla politica italiana e sul degrado continuo della qualità degli eletti che, di riflesso e a cascata, peggiora la qualità dell'amministrazione. Una palude da cui il cittadino-elettore tende a fuggire a gambe levate e questa situazione incrina una delle logiche della democrazia, quella partecipativa. Intendiamoci: anche non votare è un diritto. Scriveva, anni fa, il costituzionalista Michele Ainis: «La Carta del 1947 disegna il voto come un diritto, ma altresì come un "dovere civico" (articolo 48). Sappiamo che nel catalogo dei doveri pulsa la dimensione etica della Costituzione italiana, riecheggia la lezione di Giuseppe Mazzini. Sappiamo inoltre che vecchie norme mai abrogate (articolo 98 del testo unico delle leggi elettorali della Camera) puniscono con una pena detentiva il pubblico ufficiale che induca gli elettori all'astensione. Ma sappiamo pure che la legge protegge in vari casi l'obiezione di coscienza: per esempio nei confronti dell'aborto o della fecondazione assistita. E sappiamo che tali fattispecie normative danno fiato e gambe a un principio di libertà, anch'esso custodito dalla Carta. Da qui la conclusione: non la propaganda verso l'astensionismo elettorale, bensì il "non voto" in sé, la scelta di non accomodarsi nella tavola imbandita dai partiti, configura un diritto individuale». Pur tuttavia quando questa scelta diventa uno tsunami (e in Sicilia l'astensionismo era già stato da record) ci si deve fermare a riflettere e questo vale - si sappia - anche per il "caso valdostano", dove le confusioni di ruoli e il susseguirsi di logiche "amico/nemico" che cambiano con facilità, accresce la sfiducia, che si può diffondere come un pericoloso virus.