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29 ott 2017

La Lega, un tempo federalista

di Luciano Caveri

Sarà bene che i leghisti capiscano che è molto difficile fare i referendum sull'Autonomia e chiedere di conseguenza - a Costituzione vigente - un'iniezione di regionalismo ed in contemporanea frequentare in Italia i neofascisti di "Casapound" ed in Europa personaggi come Marine Le Pen, cui fanno schifo le democrazie locali per la loro formazione - come si dice oggi - "sovranista" ed è un eufemismo per non parlare della matrice neofascista pur mascherata. Questo il mio primo pensiero all'esito del voto, tutto politico e per nulla giuridico, di domenica in Veneto (grande successo) ed in Lombardia (partecipazione più flebile). E' improbo, infatti, per quanto ci si possa sforzare, poter tenere un piede in due scarpe.

La storia è facile da riassumere: la Lega Lombarda, primo seme da cui nasce negli anni Ottanta l'attuale Lega (se ho ben capito hanno, poche settimane fa, dismesso la dizione aggiuntiva "Nord" e tolto il verde, in favore del blu, come colore), "copiava" la modellistica dell'Union Valdôtaine nelle cui liste "Federalismo" Umberto Bossi fu candidato alle Elezioni europee del 1979, le prime a suffragio universale. Questo significò la nascita di un partito "regionalista" dapprima in Lombardia e poi allargatosi al resto del Nord, in particolare in Veneto. L'impronta, anche quando nel 1987 entrarono alla Camera Giuseppe Leoni (mio compagno di stanza a Montecitorio) ed Umberto Bossi al Senato (da cui la definizione "Senatùr"), era quella del federalismo. Poi la successiva crescita elettorale, specie con l'alleanza con Silvio Berlusconi ed il centrodestra che sdoganò anche gli ex missini, scompaginò questa impostazione. Per cui a certi congressi leghisti partecipai prima della svolta come «valdostano» acclamato dalla folla, che vedeva nelle Regioni a Statuto speciale un modello per giungere, assieme a più autonomia, sino al Federalismo. Di cui era interprete con grande bagaglio scientifico quel professor Gianfranco Miglio, con cui condivisi l'esperienza nella "Bicamerale" per le riforme De Mita-Iotti e che era l'inventore delle "macroregioni", da cui - sempre me lo precisò - la Valle d'Aosta non avrebbe fatto parte per la sua specificità a lui ben nota. Ebbene, il primo calcio nel sedere al federalismo, in cambio dell'ingresso dei meccanismo di potere dell'odiata «Roma ladrona», fu la vergognosa cacciata di Miglio, che sentiva puzza di bruciato e lo diceva senza peli sulla lingua. E lui fu buon profeta, visto poi la deriva affaristica di cui gli esiti processuali oggi danno conto. Nello stesso periodo infatti la Lega cambiò atteggiamento verso le Speciali, come già si era avvertito con la decisione della Lega di candidare propri rappresentanti anche in Valle d'Aosta rompendo un patto di non belligeranza con l'UV, con la nascita nella "Padania" di slogan «anti Speciali», viste come insopportabile privilegio nato da eventi post bellici. A questa virata, avvenuta nel tempo, si è poi aggiunto con Matteo Salvini uno spostamento all'estrema destra davvero e si sa che il federalismo non va d'accordo con gli estremismi, che siano a destra come a sinistra. Per cui resta da capire cosa avverrà oggi e se il successo di Luca Zaia, presidente veneto, sempre critico verso le Autonomie di Trento e Bolzano viste come «privilegio» e lo stesso è valso per noi e per il Friuli-Venezia-Giulia, si trasformerà, immaginando davvero di voler raggiungere l'asticella più alta della Specialità e non abbassando chi oggi ha più poteri e competenze. E come questo si concilierà eventualmente con il cuore molto a destra di Salvini, che in Lombardia avrà pure - con l'esito referendario - indebolito il più moderato e governativo Roberto Maroni, ma anche lui non ne esce bene dalle urne poco partecipate. In più Salvini come farà, visto l'astio emerso nel Centro e Sud Italia verso i referendum veneto e lombardo, a cercare voti in quelle zone? Potrà adoperare quel doppiogiochismo che in certi passaggi ha usato? Si apre dunque una fase interessante. Dopo aver raggiunto il livello più basso per le prospettive regionaliste (figurati federaliste...) con la centralista e liberticida e per fortuna stoppata riforma Renzi della Costituzione (che si tenga a memoria chi in Valle d'Aosta la appoggiò!), ora con questi referendum potrebbe aprirsi una fase nuova, a condizione che non sia invece sfruttata come alibi contro le Speciali. Possibilità per nulla peregrina e su cui è bene vigilare: la prossima legislatura a Roma sul tema si prospetta incandescente.