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18 set 2017

I fari che illuminano

di Luciano Caveri

Sarà strano per un montanaro, ma mi sono sempre piaciuti i fari marini. Quello della mia infanzia era una costruzione ottocentesca (1882 ad essere esatti) situata sul molo di Porto Maurizio di Imperia. Una costruzione bianca, che serviva anche come riferimento per noi bambini, che partivamo dalla vicina spiaggia sabbiosa per fare i tuffi da alcune rocce strapiombanti. Fare i tuffi per divertimento - lo annoto en passant - è una delle cose divertenti della vita. Ho avuto la fortuna negli anni di vederne parecchi in diverse posizioni, conscio del loro ruolo importante per la navigazione.

C'è un sito affascinante di una scrittrice Lilla Mariotti, ilmondodeifari.com, che si apre con queste citazioni: «"Il Faro era allora una torre argentea, nebulosa, con un occhio giallo che si apriva all'improvviso e dolcemente la sera", così lo vede Virginia Woolf (1882-1941) nel suo romanzo del 1927 "Gita al Faro" (To the lighthouse), ma già Omero (VIII secolo a.C.) nel XIX libro dell'Iliade paragona lo sfavillio dello scudo dell'irato Achille ad uno di quei fuochi che dalle alture rendono sicura la via ai naviganti. Sono anche entrati a far parte del mito: antichi autori, da Ovidio a Virgilio ci raccontano la storia di Ero, la sacerdotessa di Afrodite e del suo amante segreto, Leandro, che ogni notte attraversa a nuoto l'Ellesponto per raggiungerla, guidato da una fiaccola che lei regge tra le mani per illuminargli la via. Ma una notte il vento spegne la fiamma e Leandro, senza più una guida, si perde tra i flutti, mentre Ero, disperata, lo segue». Ora nuovi sistemi di assistenza alla navigazione rendono più sicuro solcare i mari, ma i sistemi automatici di controllo dei sistemi di illuminazione consentono - ad esempio al demanio in Italia - di cedere quelle parti abitative non più occupate, dove ce n'era più la necessità, dalla figura in disuso del "guardiano del faro". Perché mi sono venuti in mente i fari? Perché sono stato a Biarritz per lavoro e da anni osservo su di una falesia il bellissimo faro che si protende verso l'Oceano, mare che appare sempre minaccioso per chi abbia sin da piccolo frequentato il Mediterraneo. Ebbene nelle notti scorse il caso ha voluto che fossi in una stanza in cui nel bagno ci fosse un oblò simile a quello delle navi che la notte intercettava il fascio di luce del faro, illuminando nella sua rotazione la mia camera. Creando un effetto ipnotico e direi protettivo. Tanto da farmi riflettere, anche se sembrerà bizzarro, su questa idea dei punti di riferimento della propria vita. Lo fece ad esempio il poeta Giuseppe Ungaretti riferito all'amore e proprio in questi giorni vengono pubblicate le sue lettere d'amore, che iniziò a scrivere quando conobbe in Brasile nel 1966, già settantottenne, la giovane Bruna, ventiseienne, emigrata di origine langarola. Ecco Ungaretti: «L'amore più non è quella tempesta Che nel notturno abbaglio Ancora mi avvinceva poco fa Tra l'insonnia e le smanie, Balugina da un faro Verso cui va tranquillo Il vecchio capitano».

"Baluginare" è un verbo bellissimo. Questa storia, che i sentimenti, le passioni, i mestieri o qualunque altra cosa nella vita, abbiano bisogno di punti di riferimento mi conforta. Capita anche in Politica quando segui una rotta e vedi altri che cambiano d'improvviso destinazione ed anche porto e ti rassicura l'idea di aver fatto una scelta: quella di seguire i tuoi fari interiori.