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23 ago 2017

Davvero lo stereotipo del montanaro?

di Luciano Caveri

Ci scriviamo spesso con il mio amico occitano, Mariano Allocco, grazie a quelle tecnologie che hanno accorciato i tempi altrimenti impossibili della posta ordinaria e annullate le distanze fra le rispettive vallate alpine. Basta un clic e scambiamo pensieri o sinteticissimi o attraverso quello che ognuno di noi scrive, in modo più diffuso, sui "social". Commentavamo, tempo fa, certe "sparate" del modello televisivo del montanaro, il prolifico scrittore Mauro Corona, che conobbi tanti anni fa, quando era artigiano del legno, senza ancora questa passione per la scrittura, che lo ha reso personaggio famoso e montanaro da apparizione televisiva o sui giornali a tutto campo.

Scrive Mariano: «Ma chi decide chi è l'intruso? A chi è funzionale lo stereotipo del montanaro incolto, rozzo e maleducato? Perché è sempre di moda questa rappresentazione? Guardo le vecchie fotografie di famiglia, tutto trasmettono meno che quell'immagine. Persone fiere, sia negli abiti della festa che in quelli da lavoro. C'è della sostanza, della storia, del vissuto, del pensato, c'è un mondo in quelle fotografie di montanari, un mondo che ho visto e vissuto. In esse, in trasparenza, si legge la storia antica di genti che con orgoglio hanno popolato, vissuto e rese stupende le vallate alpine. Non c'è folclore né posa, c'è libertà, fierezza, cultura, lavoro , voglia di vivere e determinazione. C'è il bagaglio di un vissuto di coloro che sul Monte "vivevano a luogo, fuoco e catena e vi facevano la Pasqua" e del Monte hanno fatto un giardino stupendo. Questo fino al grande esodo del dopoguerra che ha concluso il prosciugamento delle Alpi, quando migliaia di aziende alpine sono state volutamente lasciate fallire per alimentare l'industrializzazione della pianura padana, il bilancio economico e sociale di questo esodo rimane da fare. A tutto questo era funzionale lo stereotipo del montanaro incolto e primitivo che dal neolitico scendeva verso la civiltà. Questa storia è finita però, pochi hanno capito che l'anello debole è la città, l'inurbamento durato due secoli ora è al capolinea. Per qualcuno però bisogna ancora grattare il fondo del barile e allora questo mito non deve finire, allora conviene fare in modo che questa farsa continui, allora bisogna continuare a riproporre miti e ritualità. Allora servono sacerdoti officianti che sappiano recitare la parte in commedia, facile trovarli, il modo è semplice. In questa sceneggiatura ritrovo evidenti tracce di un rapporto coloniale nei confronti del monte. Se si pone la centralità sull'ambiente serve qualcuno che dica "Vogliamo capire o no che siamo noi gli intrusi?". Se la centralità è sull'uomo che l’ambiente vive è più difficile trovare modi e potenza per affermarlo. Interesse di tutti un confronto tra le due parti, non ci sono alternative. L'immagine di Mauro Corona, eletto a moderno maître à penser, al confronto di quella di un montanaro, mio nonno, classe 1886, boscaiolo e bottaio, credo rendano l'idea di quanto siano lontani due mondi che stanno perdendosi di vista. Meglio sicuramente queste due foto che non tante parole e scritti». Aggiungo il mio personale imbarazzo: nessuno discute l'artista e lo scrittore - ci mancherebbe - ma per fare l'opinionista ci vuole altro e talvolta la forma - cioè evitare di dare l'idea che per essere montanari bisogna fare il "buon selvaggio" - è anche sostanza. Così per andare in televisione il nonno di Allocco si sarebbe fatto un bel bagno, pettinato e vestito civilmente, ma certo sarebbe stato meno "personaggio"...