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13 ago 2017

Onestà e competenza in Politica

di Luciano Caveri

E' morto in questi giorni in circostanze tragiche - per cui a maggior ragione fare il suo nome sarebbe di cattivo gusto - un tizio non valdostano, molto facondo e troppo untuoso, che tanti anni fa mi propose dei soldi, allora ero deputato, perché cambiassi opinione su alcuni personaggi che si interessavano ad un'attività economica in Valle d'Aosta. Lo accompagnai alla porta, dicendogli che se già ero contrario all'operazione mi aveva fornito un elemento in più per rafforzare la mia opinione. Il suo stupore fu condito da un elenco di persone del milieu politico che, a suo dire, il denaro lo avevano preso senza colpo ferire e dunque il mio atteggiamento lo stupiva con la constatazione che, se altri lo avevano fatto, perché mai io non avrei dovuto farlo? Insomma, nella sua visione, ero un fesso...

Non è stata l'unica volta che fattacci del genere mi sono capitati, ma per educazione e per convinzione, ho sempre pensato - e non credo sia un vanto, ma dovrebbe essere la normalità - che l'onestà resti un valore nella vita e di conseguenza in politica. Anche se poi, guardandosi attorno, emerge qualche dubbio sull'apprezzamento dell'elettorato per questa linea. Esiste infatti e purtroppo una certa vulgata, che sosterrebbe che, in fondo, se uno si dimostra efficace nelle sue azioni si può anche sopportare qualche furtarello. Tesi perversa, perché si sa dove comincia e non si sa dove vada a finire. Ma, con il passare del tempo, mi sono convinto che l'onestà da sola non basti e non paia un paradosso. Scriveva anni fa lo storico Aldo Giannulli: «Anteporre l'onestà alla competenza è una delle più sicure stimmate dell'antipolitica corrente. Un segno di grande modestia intellettuale. In politica, convinciamocene, serve un pizzico di cinismo (ho detto un pizzico, non una badilata!). Questo, ripeto ancora, non vuol dire che dobbiamo tollerare, giustificare e consentire i furti ai danni del bene pubblico, ma che dobbiamo imparare a temere l'inettitudine, l'ignoranza e la stupidità come mali assai peggiori. E dunque, vogliamo punire i disonesti? Benissimo, aprire le celle, ma solo dopo aver convocato il plotone di esecuzione per gli imbecilli». Ovvio che un ragionamento del genere sembra essere provocatorio, se non un pizzico a giustificazione di certe malefatte. Per altro sembra rifarsi a quanto sostenne Benedetto Croce in un libro del 1931, intitolato "Etica e Politica". Così scriveva: «L'onestà politica non è altro che la capacità politica: come l'onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze». Personalmente credo - fuor di ogni affermazione che paia in fondo un paradosso - che ci sia una verità che bisogna dirsi e che predico da un certo periodo non sulla base di chissà quale ambizione, ma da una lunga esperienza politica. L'onestà deve accompagnarsi alle competenze necessarie per fare politica, che non vuol dire essere dei super-esperti ma essere dotati - naturalmente rapportati al livello in cui ci si impegno - degli strumenti utili per valutare problemi e situazioni. Invece - fatto salvo lì obbrobrio per l'acquisto dei voti che può portare un perfetto imbecille ad un ruolo politico - resta il fatto che capita ancora che l'elettorato scelga le persone, magari onestissime e linde (per altro il termine "candidato" viene dal fatto che chi aspirava a cariche pubbliche vestiva una toga bianca), che però non prendono un canale e finiscono per non fare il loro lavoro e magari per fare le pecorelle di un pastore o essere burattini di funzionari non sempre capaci. Non è naturalmente questione di titolo di studio, anche se anche quello conta, perché nella quotidianità tutti noi conosciamo persone che hanno seguito percorsi diversi, che hanno fatto fruttare capacità e esperienze, che servono per l'attività politica. Un tempo, tra l'altro, questa formazione era garantita dai partiti politici, che oggi hanno perso questo ruolo, essendo diventate macchine in larga prevalenza funzionanti per gli appuntamenti elettorali. Ci soccorre nel ragionamento un articolo poco conosciuto della Costituzione, il 54, che dice: "I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore". Ci appare forse un pochino ottocentesca questa dizione, ma la costituzionalista Lorenza Carlassarre ha scritto acutamente: «Il verbo "affidare" ha un valore profondo: implica fiducia nelle persone a cui "affidiamo" le nostri sorti, la libertà, la giustizia, l'economia, la salute, il futuro dei figli, il destino del Paese. Sono parole semplici e gravi che, col riferimento alla disciplina, evocano comportamenti dignitosi, rigorosa osservanza di norme e regole; e con il riferimento all'onore coinvolgono il profondo della persona». Tra l'altro, a conclusione del comma, si evoca anche la solennità del giuramento. Per cui vanno bene i rottamatori, i populisti, i movimentisti, i protestatari, i demagoghi e tutte le altre categorie possibili e immaginabili, ma - non esistendo giustamente in Democrazia limiti posti alle ambizioni personali per concorrere alle cariche pubbliche - resta la regola aurea di usare con coscienza la potente arma del voto. Nel dare la fiducia, usando tutta la gamma dei sentimenti e delle speranze, ci vuole un occhio di attenzione alla coppia "onestà - competenza".