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03 lug 2017

Partire, a cuor leggero...

di Luciano Caveri

Bertrand Russel scrisse e lo sottoscrivo: «Se fossi un medico, prescriverei una vacanza a tutti i pazienti che considerano importante il loro lavoro». Chi può andare in vacanza e non lo fa sbaglia, perché un periodo per staccare la spina ci vuole sempre per il proprio benessere e questo può avvenire stando o andando ovunque. Anche se - tanto che in certi Paesi hanno legiferato sulla materia per impedirlo, almeno per i problemi di lavoro - il Web e i suoi fratelli hanno reso difficile non essere comunque raggiunti dai grattacapi. Ho avuto nella vita la fortuna di fare delle belle vacanze, dal cortile sotto casa a mete distanti, e trovo che non è solo una questione di ricordi, che pure ti stanno vicini nei momenti grami, quanto il fatto che fanno parte di un insieme di esperienze che ti porti dietro.

Ci pensavo oggi, apprestandomi a qualche giorno di riposo, riflettendo su alcuni aspetti di queste benedette vacanze. Prima di fare viaggi, io appartenevo alla generazione delle "villeggiature", che erano una vacanza in buona parte domestica - fra mare del paese d'origine della mamma e la montagna dove andava già papà - che è ormai in buona parte abitudine abbandonata. Questi soggiorni radicavano un aspetto essenziale, che talvolta stupisce chi non ne ha mai goduto, e si tratta dello straordinario concetto di "compagnia". La definizione linguistica è "gruppo di persone riunite insieme per divertirsi, conversare o per altre attività comuni". Chi mi capisce sa che è molto più di così. Io l'ho capito su due fronti. Imperia è stato per almeno venticinque anni, ininterrottamente il mio mare del cuore, finendo per i mesi estivi per integrarmi completamente con i miei coetanei del luogo. Quelle estati sono state la mia educazione all'amicizia: dall'infanzia all'età adulta quella compagnia di "amici stagionali" è stata una continua occasione di divertimento e di crescita, compresa qualche baggianata da guasconi, perché anche sbagliando si impara. Idem per le vacanze estive e quelle invernali, in particolare a Champoluc (ma da piccolo d'estate a Pila), dove l'adolescenza ha corrisposto ad una compagnia composita e chiassosa con cui trascorrere momenti indimenticabili e quelle prove di vita che ti accompagnano nella crescita e nella formazione del tuo carattere. Poi, più avanti nell'età, con l'indipendenza economica raggiunta abbastanza presto, la vacanza è diventata meno stanziale e più rappresentativa dalla scoperta, fattasi sempre più consapevole di parti di mondo sconosciuti al continuo inseguimento di luoghi mai visitati con la voglia di capire e di conoscere. Ha ragione Marcel Proust quando scrive: «Le véritable voyage de découverte ne consiste pas à chercher de nouveaux paysages, mais à avoir de nouveaux yeux». Così quando si rientra hai in valigia scoperte, idee e pensieri che ti fanno ritornare arricchito e porti nella tua quotidianità punti di vista diversi per vedere le cose di tutti i giorni ed è una spinta per migliorare attraverso quel grande esercizio che è la comparazione e pure la ricopiatura. Come non riconoscersi nei noti versi di Charles Baudelaire: «Mais les vrais voyageurs sont ceux-là seuls qui partent Pour partir; coeurs légers, semblables aux ballons, De leur fatalité jamais ils ne s'écartent, Et, sans savoir pourquoi, disent toujours: Allons!».

Vado e forse gli orari del blog saranno talvolta strampalati.