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15 mag 2017

Festa dell'Europa con speranza

di Luciano Caveri

Oggi sarebbe la "Festa dell'Europa", ma è facile constatare - per questo uso il condizionale - un'inquietante amnesia e niente che assomigli a veri festeggiamenti. A conferma, purtroppo, che attorno alle tematiche europee, in assenza generalizzata di semplici rudimenti sul funzionamento dell'Unione, c'è una nebbia fitta in ampia parte dell'opinione pubblica italiana e purtroppo anche valdostana, per quanto ci sarebbero radici profonde da evocare per la nostra Valle. Invece in questi anni, da parte di chi se ne dovrebbe occupare, si organizzano perlopiù per la ricorrenza giochini per bambini. Per altro non è colpa del singolo cittadino, che sa o quello che gli viene insegnato o quanto gli può capitare di leggere per apprendere. In Italia, invece, esiste una mancanza di conoscenza, rinvenibile quasi dappertutto e chi ha avuto, per studi e per lavoro, a che fare con l'integrazione europea e i suoi meccanismi di funzionamento, finendo per diventarne obtorto collo un discreto esperto, rischia di essere considerato una mosca bianca.

Pur tuttavia per decenni qualunque rilevamento d'opinione, che non fosse in chiave più tecnica scoprendo l'arcano di un interesse senza basi reali, portava a considerare gli italiani (accezione che sappiamo bene nascondere infinite varietà) come europeisti di ferro, pronti a difendere sempre e dovunque il disegno comunitario e la sua affermazione. Poi, negli anni, questa granitica ma purtroppo apparente convinzione ha cominciato a sfaldarsi. Lo sa bene chi, come me, ha continuato senza tentennamenti a proclamare le ragioni europeiste, sempre nel difficile equilibrismo di mettere assieme le ragioni del cuore e quelle della mente con la constatazione di quanto purtroppo avvelenava l'Unione europea fra centralismo di Bruxelles, gigantismo burocratico, deficit democratico, strapotere degli Stati in barba al federalismo e alla sussidiarietà, antidoti reali per evitare un SuperStato degli Stati, usati troppo spesso come inutile prezzemolino. Certo la mia visione di nazionalista valdostano - federalista e non giacobino e già questo va sempre spiegato per non fare il "lepenino", cioè una versione localista del "lepenismo" - aveva forse una storia particolare, ma questo non ha mai fatto venir meno la speranza di conciliare l'enormemente grande dell'Europa e l'infinitamente piccolo delle speranze di autogoverno di una piccola realtà come quella valdostana. Da questo punto di vista, dopo un mare di discussioni anche con persone insospettabili intrise di pregiudizi o di bufale sull'Europa, ho temuto a un certo punto che la deriva populista antieuropea potesse essere inarrestabile e che i nazionalismi cattivi, egoisti ed autocentrati avrebbero finito per prevalere e che il disegno europeo, anche per gravi colpe proprie ma anche per l'aria dei tempi spesso artificiale, avrebbe smembrato in mille pezzi l'Europa e riproposto scenari antichi di divisioni nel Vecchio Continente. Premessa tragica a ritornare in quello stato di rischio di guerra che sembrava spazzata via, ma che esisteva come un fantasma latente e lo dimostrò la guerra balcanica e pure le vicende tragiche più attuali dell'Ucraina con la Russia. Va riconosciuto come la larga vittoria di Emmanuel Macron, europeista convinto e convinto anche della necessità di riforme profonde per fermare il virus antieuropeista, assume oggi un valore da non sottovalutare. Immagino che più di una volta i condottieri della sua campagna elettorale gli avranno consigliato - orrore per un francese questa metafora! - di mettere dell'acqua nel vino europeista, perché la competitor, Marine Le Pen, aveva fatto della crociata contro Bruxelles un capitolo fondamentale per cavalcare protesta e insoddisfazioni. Ed invece Macron ha insistito e lo ha fatto con testardaggine che, alla fine, gli ha dato ragione e solo osservatori superficiali non possono notare come, in fondo, da una parte avesse costretto il Front National ad addolcire campagne sconsiderate come quella sull'uscita dall'Euro e, dall'altra, avesse obbligato anche i più euroscettici a riflettere, con razionalità, sulle conseguenze di un'Europa senza Europa. In fondo una sorta di referendum insito nelle elezioni presidenziali e l'esito, per fortuna di chi crede nell'Europa, è del tutto manifesto e costringerà certi populisti trinariciuti ad aprire gli occhi sul fatto che campagne sconsiderate, ricche di disinformazione, attentano in fondo a quella grande speranza collettiva che è la Democrazia europea. Oggi, lo ripeto, del tutto insoddisfacente, ma chi voleva sopprimere l'Europa al posto di riformarla è stato sonoramente sconfitto e nulla da qui in poi sarà come prima e dirlo nel giorno in cui si ricorda un illustre francese non è poco. Come oggi, infatti, nel 1950 il Ministro degli Esteri Robert Schuman presentò il Piano di cooperazione economica, la cosiddetta "Dichiarazione Schuman" ideata da Jean Monnet, che segnò l'inizio del processo d'integrazione europea.