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08 mag 2017

La Valle d'Aosta e le cinque crisi

di Luciano Caveri

Oggi sarò più schematico del solito, perché ci sono momenti in cui è necessario dire poche cose, senza troppi fronzoli, di quel che ti viene dalla pancia (dal cuore, meglio) e dalla testa (cervello, forse) in un comitato disposto che è davvero frutto di pensieri in libertà. E' un periodo nel quale è necessario tenere un profilo basso e, come diceva un illustre politico del passato, "garder la tête froide". Quel che è certo è che, riassumendo tante vicende di questi ultimi mesi, siamo di fronte al rischio che - specie dall'esterno ma anche all'interno - ci si faccia l'idea, per nulla eccentrica, di una Valle d'Aosta vittima di molteplici crisi, di cui è bene farsi carico.

La prima è un crisi economica, che riguarda - dati alla mano - una mancata situazione di ripartenza, la cui gravità orbita attorno alla constatazione che tutto questo si riflette, alla fine, sul funzionamento complessivo del sistema. I cittadini pagano prezzi come la disoccupazione, ma anche il taglio del Welfare valdostano per via dell'inceppamento di un sistema di finanziamento pubblico che ormai gravita - con l'attuale ordinamento finanziario - sul funzionamento virtuoso delle imprese a vario titolo che alimentano le casse della Regione autonoma. La seconda è una crisi delle Istituzioni regionali e del loro ordinamento, che in questa Legislatura si è manifestata con una situazione di mezza incollatura fra maggioranza e opposizione e questo ha causato crisi e controcrisi, alimentate anche dalla necessità - ad un certo punto - di discontinuità con un passato ingombrante. Ma questa situazione ha oggettivamente innescato cesure profonde nella comunità e sono in tanti a stentare a seguire con esattezza gli avvenimenti e questo ha portato ad una crisi di sfiducia crescente verso l'Autonomia stessa, come già causato dal punto primo. La terza in realtà sembra radicarsi in parallelo ed è una crisi della Politica, che si evidenzia nelle fratture crescenti, nate naturalmente in larga misura per una serie di buone ragioni, ma che danno sempre più l'idea di uno scenario molto spezzettato, che accresce il senso di distacco con cittadini che spesso non penetrano gli esatti perché. Questa cesura allontana dalla partecipazione politica, si somma alla crisi generale dei partiti e della loro incapacità di raccolta degli idem sentire. Così non solo il populismo e la demagogia diventano sport vincenti, ma rischia di dilagare una logica di astensionismo non solo dal voto ma dalla democrazia. La quarta crisi è quella morale. La perdita di punti di riferimento, di certezze un tempo solide, di fiducia in qualcosa o qualcuno creano una situazione di "liberi tutti" che fa venire meno quel collante di una comunità che si distrae e soprattutto rischia di perdere la fiducia in sé stessa. Esiste un gorgo terribile che tutto inghiotte ed è il pessimismo, quando si stentano a ritrovare valori comuni e l'idea che ci si può fare è che si sia nelle sabbie mobili, imprigionati in un lento ma inevitabile declino da cui si ha l'impressione di essere letteralmente inghiottiti. La quinta è una crisi identitaria: chi sono i valdostani di oggi? Certo non quelli di ieri, ma le ragioni della civile convivenza e le motivazioni di una fedeltà non ad un passato immobile, ma al motore acceso di idee e proposte che deve alimentare il presente, ci devono essere tutte. Altrimenti lo stare assieme, riconoscendosi come cittadini attivi e solidali, fa venire meno quella condizione che è tutta prepolitica e che alimenta poi la politica, come esercizio nobile della Cosa pubblica e non come immagine negativa e deviata di un mondo che pensa ai fatti propri e non al famoso bene comune. Non ho certezze, ma questo non significa affatto subire gli eventi. Mi è sempre piaciuto un passaggio, a risvolto autobiografico, di Norberto Bobbio, che così scriveva: «Chi entra in un labirinto sa che esiste una via d'uscita, ma non sa quale delle molte vie che gli si aprono innanzi di volta in volta vi conduca. Procede a tentoni. Quando trova una via bloccata torna indietro e ne prende un'altra. Talora la via che sembra più facile non è la più giusta; talora, quando crede di essere più vicino alla meta, ne è più lontano, e basta un passo falso per tornare al punto di partenza. Bisogna avere molta pazienza, non lasciarsi mai illudere dalle apparenze, fare, come si dice, un passo per volta, e di fronte ai bivi, quando non si è in grado di calcolare la ragione della scelta, ma si è costretti a rischiare, essere sempre pronti a tornare indietro. [...] Non ci si butti mai a capofitto nell'azione, che non si subisca passivamente la situazione, che si coordinino le azioni, che si facciano scelte ragionate, che ci si propongano, a titolo d'ipotesi, mete intermedie, salvo a correggere l'itinerario durante il percorso, ad adattare i mezzi al fine, a riconoscere le vie sbagliate e ad abbandonarle una volta riconosciute». Complesso ma necessario, affrontando le crisi singole e concatenate.