Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
05 mag 2017

Perché Chanoux non sia un santino

di Luciano Caveri

Essere un mito, malgré toi, è sempre difficile. Dico "malgré toi" perché ho sempre pensato come un uomo simbolo della storia valdostana, Émile Chanoux, sposato con due figli, non avrebbe certo voluto morire per offrire ai posteri l'immagine, che invece giustamente ha, di martire della Resistenza valdostana. I casi della vita - e la ferocia dell'epoca nazifascista, che lo vedeva come il "pericolo pubblico numero uno" - hanno purtroppo spezzato la sua vita - non aveva ancora quarant'anni - quel fatale 18 maggio del 1944. Data che ha segnato, come la sua scomparsa, un buco nero nella storia valdostana, perché nulla sarà più come prima ed un brivido di dolore percorse tutta la Valle.

Era nato nel 1906 e la sua storia è quella di un figlio di una vallata valdostana, la Valsavarenche, che conquista non solo il notariato, ma diventa uno dei fari intellettuali contro il conformismo che aveva colpito anche la Valle d'Aosta con la dittatura fascista. Era fra i primi ad avere capito che solo la formazione dei giovani e la crescita di una coscienza collettiva potevano essere l'antidoto per un antifascismo costruito su cose concrete e su tante speranze. Il suo erede politico fu - mentre in pochi ne celebravano il ricordo - mio zio Severino Caveri, che assieme al resto della famiglia coltivava non solo un'amicizia familiare solida, ma che aveva in Chanoux un punto di riferimento anzitutto culturale e poi naturalmente politico. Caveri, diventato leader del mondo autonomistico, mentre molti sceglievano il comodo riparo dei partiti nazionali, fu nel dopoguerra uno dei pochi che citò sempre l’opera profonda di Chanoux. La "Fondation Chanoux", così commenta i suoi discorsi pubblici del dopoguerra pubblicati in un libro postumo: «Il primo risale al 18 maggio 1946: in questo caso Chanoux viene indicato come "ami, valdôtain, chef" e Caveri insiste non solo sulla visione politica del notaio di Rovenaud, ma anche sulla sua concezione della vita, per la quale parla di pessimismo cristiano. L'autore utilizza spesso delle citazioni perché "trop souvent la pensée de Chanoux a été faussement interprétée dans des buts de propagande" e indica in Chanoux "le meilleur ciment de l'Union Valdôtaine". Il secondo discorso è stato scritto in occasione degli otto anni della morte di Chanoux ed ha una valenza più politica rispetto al primo: se nella prima parte, infatti, viene ancora una volta celebrata la vita del notaio, paragonato a Jean-Baptiste de Tillier per la sua capacità di interpretare l'evolversi della storia valdostana, nella seconda Caveri critica i nemici dell'Union Valdôtaine e, in particolare, quelli che reputa essere nemici dell'Autonomia (i liberali de "Il Monitore valdostano" ed i nazionalisti nascosti dietro al socialismo). Nel terzo discorso, di due anni successivo, Chanoux viene ancora una volta definito "ami" e "chef", ma anche "guide" e "conseiller", e Caveri anticipa alcuni concetti che poi riprenderà una decina di anni dopo nelle sue memorie, in particolare per quanto riguarda la duplice natura di Chanoux che viene indicato come uomo d'azione, ma anche sognatore e pensatore. Infine riprende quella concezione della vita già enunciata nel primo discorso per poi lasciare spazio, nella seconda parte, al pensiero di Chanoux e alla sua eredità». Trovo che sia questo l'aspetto interessante: uomo d’azione, ma anche sognatore. Nei suoi testi, molto vari e pubblicati in vario modo, Chanoux racconta questo presente difficile, ma rappresenta anche - in modo talora profetico - la prospettiva che verrà, sapendo che all'epoca erano molti i tavoli su cui trattare in vista della caduta del Fascismo. Anche se, nelle ricostruzioni del tempo, è oggi difficile - anche per gli interpreti più onesti - capire con esattezza intrecci ed incroci, che ebbe la capacità di tessere e ciò avvenne purtroppo dopo di lui. Oggi possiamo trarre ancora degli insegnamenti non solo dalla sua vita, ma direi dall'insieme delle sue opere e, nel caso mio, anche dalle vivide testimonianze di alcuni, oggi scomparsi, che me lo descrissero nella quotidianità della vita, quella che si perde quando la figura storica troneggia su quella della vita vissuta. E' proprio nel suo ricordo, per non farne un santino da mettere come segnalibro, che bisogna lavorare, con la stessa logica, guardando oggi all'avvenire e cercando di farlo in modo degno. Talvolta si perde di vista questa questione della dignità, non per agitare una logica etica come elemento astratto, ma facendolo nella concretezza dell’impegno per costruire qualche cosa. Chanoux aveva ben presente, anche se l'epoca è distante e l'ammonimento resta valido, come il degrado morale fosse uno degli aspetti cardine del fascismo, che pure coltivava discorsi nobili e ammantava tutto di retorica pomposa. A dietro la dittatura c'era tutto quello che in buona parte Chanoux aveva previsto sin da giovanissimo. Questa questione della "schiena dritta" resta oggi come un insegnamento senza tempo, una bussola che indica la strada.