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09 mar 2017

La sfida resta il futuro

di Luciano Caveri

Si accinge a cadere Augusto Rollandin e l'evento, atteso da anni, fa clamore. Ne ho scritto troppe volte auspicando che ciò avvenisse e dunque - aspettando di seguire la discussione in Consiglio Valle per antico rispetto del parlamentarismo - vorrei rifarmi ad un ragionamento più generale. Partendo dal presupposto di quanto addolori vedere - per chi ci ha vissuto per anni, essendone stato un eletto - l'Union Valdôtaine nella polvere, ma questi sono i frutti che si raccolgono per una gestione verticistica e capricciosa, impregnata di errori e di democrazia calpestata, che hanno costretto ad andarsene anche chi come me considerava casa sua Avenue des Maquisards.

Certo capita sempre più spesso per chi si occupi di politica e ne scriva per passione, di doversi occupare di questioni brucianti, pur frutto di lungo peregrinare. Non è che questo non debba accadere, perché anche la vita è fatta così: può spuntare dietro l'angolo un avvenimento felice o infelice che ti obbliga ad una decisione rapida e non ci sia troppo tempo per ragionarci sopra. Per cui nessuno può reagire come una lumaca, quando invece è necessaria la corsa da bersagliere. Eppure sarebbe bene potere inserire ogni scelta, laddove beninteso sia possibile farlo, in un disegno più vasto, specie in politica. Scriveva con molta semplicità Karl Popper: «Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte». Mi veniva in mente una parola da prendere con le pinze. Mi riferisco a "lungimirante". Un aggettivo composto piuttosto recente, coniato da poco più di un secolo, e che riguarda una persona, ma vale anche per una comunità nel suo insieme, che guarda e vede lontano nel tempo, che prevede cioè con saggezza gli sviluppi degli avvenimenti futuri e vi provvede in tempo. Aggiunge la "Treccani": "Anche di chi mira a uno scopo lontano, e agisce in modo da crearsi le condizioni favorevoli per conseguirlo. La parola, per il suo tono solenne, è spesso usata ironicamente". Questa è la fregatura: ad usare certe parole si finisce, in un mondo in cui spesso ci si sofferma sul presente più che sull'avvenire, di fare la figura del presuntuoso che in fondo guarda l'orizzonte distante al posto della rassicurante punta dei propri piedi. Penso invece che, qualunque siano le necessità immediate, anche le più impellenti, bisogna sempre inserirle nelle cose che verranno, almeno in quelle che speriamo in cuor nostro che possano realizzarsi. Già immaginare con coerenza una semplice lista di sfide ci fa uscire dal rischio dell'"usa e getta", che è pericoloso come lo sono le incrostazioni di quanto resta sempre uguale a se stesso e lo sono sistemi di potere sclerotizzati e con lati nascosti che vanno illuminati. Mi capita in questa fase - e sarà pure per certe mie speranze incarnate dal progetto nascente di "Mouv'", che mi dà un certo entusiasmo prima scemato - di parlare con molte persone e anche, pratica tragicamente desueta, se non nella brevità di certi messaggi "social", di ricevere per scritto pensieri piuttosto articolati. Mi accorgo di non essere il solo a guardare lontano e a farlo sapendo bene che oltre ad una certa età non lo si fa per se stessi, ma è un investimento per altri, esattamente com'è stato fatto - pur senza santificare i ricordi - da generazioni passate. Vedremo se certe sfide di non intestardirsi sul presente ma di guardare più in là possano essere un'operazione vincente o se "tutto subito" finirà per essere una ricetta che non risolverà le tante crisi che si stanno ingarbugliando l'una con l'altra, compresa la crisi del sistema politico ed istituzionale della Valle d'Aosta come nato e formatosi nei 70 anni della sua storia più recente. Non si tratta solo di risorse economiche - anche se l'aspetto non va sottostimato - ma di qualcosa di più profondo che sta avvelenando rapporti interni e la visione che si ha dall'esterno della Valle d'Aosta e il rischio è che non si riesca più ad uscire da questo stallo e ciò deve avvenire - guardando al più volte evocato futuro - con logiche di alleanze omogenee, scevre dal rischio di essere viste come momenti passeggeri di "do ut des".