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19 feb 2017

Pugno di ferro a Torino sui costi della politica

di Luciano Caveri

E' arrivata, infine, l'attesa sentenza della Corte di Appello di Torino e ciò piomba - come uno "Stuka" che bombardi a bassa quota - su di una Politica valdostana in fibrillazione, caratteristica per altro che connota ormai questa sbilenca XIVesima Legislatura con maggioranze variabili e crisi, frutto di legittime aspirazioni ma anche segno di una generale fragilità istituzionale. Su questa condizione pesano anche altre vicende giudiziarie a grappolo, che stanno investendo più di un Palazzo di Aosta e l'impressione generale, specie in rapporto all'incidenza della 'ndrangheta in Valle e riguardo ad intrecci affaristici, è che ci saranno nuovi capitoli.

Ma dicevamo della sentenza, che modifica in parte la raffica di assoluzioni avvenuta ad Aosta in primo grado: prescritti i reati prima del 2009, la falce dei giudici ha riguardato molti degli imputati e si va dal peculato al finanziamento illecito ai partiti. Le notizie in dettaglio sono ampiamente disponibili sul Web e non nascondo che certe assoluzioni, per persone che conosco, mi hanno fatto piacere e avranno un peso politico. Letta la sentenza nelle sue motivazioni che hanno portato alla decisione odierna, ci sarà ancora il possibile ricorso in Cassazione. Certo quel che conta oggi è l'incidenza sulla "sospensione" per almeno diciotto mesi di alcuni eletti (per peculato Raimondo Donzel e Carmela Fontana del Partito Democratico, così come Marco Viérin di Stella Alpina, che hanno avuto anche l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, ma anche - per altro reato previsto dalla legge della "Severino" - Leonardo La Torre), che saranno surrogati in Consiglio fra alcune settimane da chi - non eletto nel 2013 - si trovava in cima alla graduatoria delle preferenze. Può capitare come in questa occasione - e nella politica valdostana ed in quella italiana non è certo una novità - che a dettare l'agenda politica finisca per essere la Magistratura. Proprio la Storia ci insegna che questo è avvenuto in molte occasioni in senso positivo – e cioè la Giustizia ha ripristinato elementi perduti di legalità - ed in altre circostanze, invece, la scelta dei giudici, anche nel lungo cammino dei gradi di giudizio in Italia, ha stroncato carriere o è entrata in tackle in vicende poi ridimensionate. Per non dire di casi di prescrizione o di riabilitazione, tornati comodi in determinate circostanze. Sono due tipologie - giusta sanzione di comportamenti illegali ed invadenza eccessiva della Magistratura - che attraversano dunque i sessant'anni di Repubblica, ma - se dobbiamo andare più indietro - ciò connota il "caso italiano" sin dal'Unità. Certo è - osservo sommessamente avendo passato venticinque anni in politica senza macchie sul mio certificato penale - che oggi la "spada di Damocle" della Giustizia pende come non mai (direi che in Valle d'Aosta ciò sembra manifestarsi dopo un periodo di "calma piatta"), compresi i danni erariali che possono colpire pesantemente il portafoglio di chi fa l'Amministratore. Chi ha vissuto esperienze di governo e si considera onesto, e dunque parte già con qualche vantaggio, sa bene che la gestione dell'Autonomia significa un mare di delibere e decisioni. Perciò bisogna sempre avere gli occhi ben aperti e questo obbliga alla famosa competenza che è il giusto contraltare a certo nuovismo di neofiti senza curriculum. E' necessario poi fidarsi anche dei parere di dirigenti e funzionari, che non devono mai essere coartati nelle loro decisioni, anche se spesso si tratta di dare la veste giuridica giusta per risolvere problemi reali per non impantanarsi. Resta in sostanza condivisibile l'ammonimento del grande giurista Piero Calamandrei: «Non si confonda la giustizia in senso giuridico, che vuol dire conformità delle leggi, con la giustizia in senso morale che dovrebbe essere tesoro comune di tutti gli uomini civili, qualunque sia la professione che essi esercitano nella vita pratica».