Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
16 gen 2017

La cronaca nera, quando il troppo stroppia

di Luciano Caveri

Leggo sempre, quando scorro un giornale, le lettere dei lettori. Sarà che la presenza di un quotidiano in casa sin da bambino mi aveva abituato a sbirciare le curiosità derivanti dalla famosa rubrica de "La Stampa", "Specchio dei tempi", ma quel che è certo che sfogliando quotidiani e settimanali guardo sempre che cosa si dice. Lo faccio anche con la pagina quotidiana della Valle d'Aosta su "La Stampa", anche se il numero degli scriventi - è da sempre così da noi - è così limitato da permettere di scoprire, scorta la firma, quale sarà grossomodo il filone seguito. Ma alla fine ci si affeziona, come avviene con le firme del giornale. Non me ne stupisco perché si sa che questo valeva in passato anche per le radio private o per le televisioni locali e vale anche per le lettere scritte, sapendo poi che alcuni chiedono - e sono contrarissimo - di celare la loro identità dietro il comodo "lettera firmata". Oggi guardavo il "Corriere della Sera" e trovo questa lettera breve e preoccupata, che così dice: «Caro direttore, sono esasperata e molto arrabbiata. Perché i telegiornali sia nazionali, sia locali danno notizia di delitti e tentati delitti? A che cosa e a chi servono?».

«Quello che fa più arrabbiare - continua la lettera - è l'insistenza nel proporre tali notizie, nel descriverne le modalità, nell'intervistare parenti ed amici e andare avanti per giorni. Anche i giornali non si tirano indietro. Il Corriere della Sera ha pubblicato addirittura vignette con il "filmato" e le modalità dell’omicidio di quei poveri genitori uccisi da due minorenni. Non si trascende al dovere di cronaca? Mi rendo conto che in questo mondo c'è poco da stare allegri, ma insistere su determinati argomenti mi sembra assurdo e diseducativo». Maurella Salvatore, Milano

Risponde il Direttore del giornale, Luciano Fontana: «Cara Signora, sono tanti i lettori che ci scrivono (e ci criticano) per l'attenzione ai fatti di cronaca nera: delitti, violenze, aggressioni sessuali. Considerano il sistema dell'informazione (noi compresi) morboso e alla ricerca continua del sensazionalismo. E' un tema delicato, su cui non esistono verità assolute. Ma alcune considerazioni ragionevoli si possono fare. Intanto che il nostro compito quotidiano è raccontare la realtà come essa è e non come noi vorremmo che fosse. Purtroppo la nostra vita e il nostro mondo sono pieni di tante storie positive ma anche di tragedie, omicidi e aspetti oscuri. Rimuoverli, non raccontarli, girare lo sguardo da un'altra parte non sarebbe giusto: per noi giornalisti e per voi lettori. Conoscere tutti gli aspetti della realtà ci aiuta forse a trovare le soluzioni. Per questo le cronache debbono raccontare i fatti ma anche approfondire, scavare, trovare le ragioni di quello che è accaduto. Avete pensato a quanto è diventato difficile (ne ha scritto benissimo Antonio Polito sabato scorso) rimproverare i nostri figli? Troppo spesso diventiamo solo i loro avvocati difensori nella scuola e nella vita. Naturalmente la descrizione di delitti e aggressioni non può mai indulgere nei particolari scabrosi, nelle foto a effetto, nel mancato rispetto della dignità delle persone. E' un equilibrio delicato e se sbagliamo i lettori fanno bene a criticarci. Dobbiamo poi essere sempre capaci di raccontare quella parte enorme della vita (lo faremo sempre di più) fatta di belle storie, azioni buone, impegno e merito. Senza pensare che il lato oscuro riguardi sempre qualcun altro».

Personalmente avrei risposto che nelle dittature - capitò anche con il Fascismo - la cronaca nera scompare, fagocitata da logiche propagandistiche che mirano a dimostrare come si viva nel mondo migliore possibile. Per cui teniamoci stretta l'informazione, anche quando tratta argomenti che non ci piacciono e semmai correggiamo quella granita certezza dei giornalisti che una cattiva notizia fa più notizia di una buona notizia. Circostanza poi che si dimostra vera, quando attorno a certi delitti tragici o torbidi si scatena un qual certo voyeurismo dei lettori e un gusto per il particolare scabroso, che farebbe dire che l'offerta risponde alla domanda. Ma in verità esiste un rischio di banalizzazione, quando - specie in televisione ma anche su certa stampa – l'approfondimento di un tema per titillare il lettore scade in forme di ricerca sensazionalistica, ben visibile in quella tendenza a indagini parallele ed a processi sommari sul piccolo schermo, che mi fanno cadere le braccia, perché talvolta certe assoluzioni in Tribunale sono state ampliamente rese inutili da sentenze catodiche. Questo naturalmente non va bene e noto anche che non sempre nei cronisti di "nera" di oggi esiste quell'attenzione alle fonti che evita, in nome dello scoop o supposto tale, di prendere lucciole per lanterne anche su fatti di estrema delicatezza. Resta la libera scelta - ed io l'ho esercitata in certi casi - di non comprare più un giornale quando si perde il buonsenso e di non guardare più certa televisione dell'orrore con teatrini di esperti del macabro e dell'orrido, che funzionano come i videogiochi con le monetine.