Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
15 dic 2016

I "j'accuse" del Papa

di Luciano Caveri

Confesso di non avere ancora a pieno capito quale disegno si celi davvero dietro la "ribellione" di alcuni cardinali conservatori, ma non è la prima volta che avviene, contro Papa Francesco, che viene accusato in sostanza - tolto di mezzo il linguaggio affettato - di deviare da certi principi fondamentali della dottrina della Chiesa. Chi "volgarizza", mettendoli in prosa senza fronzoli, queste posizioni senza sconti per il Pontefice è - lo si legge sul suo sito e dai suoi libri - il giornalista e scrittore Antonio Socci (Direttore della scuola di giornalismo della "Rai" di Perugia), che picchia durissimo su Francesco. Lui, in risposta a queste accuse, mi pare non defletta e anzi certe risposte contro quella parte della Chiesa fanno capire che non si fa intimidire e lo fa anche con l'uso di battute come: «dormo come un legno».

C'è poi la scelta di periodiche uscite attraverso la penna di Eugenio Scalfari, un laico che "confessa" un Papa e da notare che viene dallo stesso gruppo de "La Repubblica" che pubblica questi articoli vengono le critiche più forti - viste questa volta da Sinistra - con gli articoli del vaticanista Sandro Magister, i cui articoli riuniti trovate sempre sul Web. Ma resta il fatto che il Papa piace e io trovo che, al di là di ogni considerazione, abbia la dote di parlare con franchezza, come ha fatto ad esempio sui divorziati nella Chiesa o sul perdono e l'aborto, ma sono moltissimi i temi su cui ha sparigliato le carte sempre con uso sapiente della comunicazione e del linguaggio. Sa come piacere e usa questa dote, che si accompagna a quel suo essere gesuita e dunque una formazione religiosa che ha una sua specificità nella storia della Chiesa. Magister lo chiama "il gesuita perfetto" e non è un complimento. Ma Bergoglio si infila in commenti inconsueti e spontanei come ha fatto poche ore fa per il settimanale dei cattolici fiamminghi "Tertio". Traggo da "La Repubblica": "Disinformare, calunniare gli avversari politici, sporcare la gente, è "peccato", i media devono essere «limpidi e trasparenti» e non devono «cadere nella malattia della coprofilia». (...) Il Pontefice ha usato termini davvero "forti" per rendere al massimo l'idea del danno che la disinformazione può arrecare all'opinione pubblica. Perché, ha infatti aggiunto Bergoglio, «la gente ha la tendenza alla malattia della coprofagia»". I termini "coprofilia" (abnorme interesse e attrazione per le feci) e "coprofagia" (forma di alienazione mentale che induce alla manipolazione e alla ingestione di escrementi) sono molto forti e inconsueti, ma personalmente li vedo davvero efficaci in questo rapporto malato fra chi si bea - scusate la crudezza - di "spargere merda" (spesso nel ventilatore) a una platea ben lieta di cibarsene. Leggo quotidianamente cose di questo genere ed esiste una televisione spazzatura che ci sguazza. Aggiunge il Papa: «La disinformazione è probabilmente il danno più grande che può fare un mezzo, perché orienta l'opinione in una direzione, tralasciando l'altra parte della verità». Il tema come proposto è interessante perché mostra il rischio di un patto luciferino fra giornalista e lettore-telespettatore che fa perdere il senso della realtà. Non si tratta - come la vedo io - di non dire le cose o di censurare delle notizie, ma di offrire sempre un quadro chiaro e comprensibile non offuscato da logiche malevoli di manipolazione delle notizie con pastoni maliziosi fra ricostruzione dei fatti e propri giudizi personali non esattamente distinguibili. So bene che non è facile farlo, ma penso che il Papa lo sappia bene e punti il dito non sulle difficoltà di equilibrio nel lavoro quotidiano del singolo giornalista, ma su chi invece persegue scientemente e con metodo la voglia di manipolare escrementi a beneficio di chi si bea di riceverli in pasto.