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06 dic 2016

Referendum costituzionale: il mio NO

di Luciano Caveri

Mi vien da sorridere a chiamarlo un "ultimo appello": oggi sono una persona senza un partito, che crede in certi valori in politica e spera presto di poterli condividere con chi osserva con crescente tristezza una Valle d'Aosta alla deriva. Così determinate scelte tattiche per il referendum domenicale sono il segno di una comunità che non ha più punti cardinali nella difesa dell'Autonomia, se in troppi - specie nella sempre più informe area autonomista - sentono il bisogno di assecondare le mire del potente di turno, illudendosi di finire sotto la sua ala protettiva, anche se si deroga - così facendo - ai propri ideali, messi sul mercato. Stupiscono anche rispettabili personalità locali che hanno scelto di essere silenti in questa circostanza, perché non sempre «il silenzio è d'oro», mentre molti esponenti dell'establishment italiano dicono "sì" perché sperano che il loro dire "sì" possa trasformarsi in... oro.

Io domenica voterò "no" al referendum costituzionale e lo farò anzitutto contro un testo pasticciato e pieno di contraddizioni, che costruisce un sistema politico che accentra il potere su di una sola persona: chi si trova e chi si troverà a fare il Presidente del Consiglio. Un vestito che Matteo Renzi ha abilmente costruito su sé stesso, spendendosi in una campagna elettorale parossistica, in un clima di crescente e ingiustificata autocelebrazione dei fasti del suo Governo e del suo ruolo di leader. Assecondarlo in questo disegno di potere personalistico - suo e della sua corte con molti punti oscuri su dove voglia davvero andare - è un rischio troppo grande, che potrebbero facilitare anche coloro che si turano il naso per votare il "sì", quelli che scelgono di soccorrere il vincitore, quelli che si fanno abbindolare dal nuovismo e l'elenco potrebbe continuare. Voto "no" perché il regionalismo e la democrazia locale vengono umiliati e vilipesi con la scelta sciagurata di uno Stato italiano che cesserebbe di essere una Repubblica delle autonomie. Il centralismo delle istituzioni è già una scelta autoritaria, che fa l'occhiolino a quei potentati economici che non vogliono comunità e cittadini fra i piedi. Lo stesso vale per la scelta, per vincere il referendum, della deriva antieuropeista. Si va a Ventotene per ricordare i confinati che sotto il fascismo sognavano uno Stato e un'Europa federalisti e si fa il contrario con una politica fatta di racconti ammiccanti, promesse favolose, piccoli aiuti a pioggia per comprare voti e coscienze, gruppi di potere di amici degli amici. Si cavalca l'antipolitica per consolidare metodi di governo vecchi come il cucco e fa sorridere che a incarnarli sia un quarantenne, Renzi, vecchio nelle idee e nelle scelte, perché formato nelle lotte di potere della Democrazia Cristiana, come mostrano le sue foto di ragazzino sorridente con quei capipartito da cui ha succhiato il latte e di cui oggi usa gli insegnamenti per dare corpo ad una vecchia politica che si finge nuova con l'uso massiccio di una propaganda che utilizza tutte le nuove tecnologie. Chi in Valle d'Aosta insegue il "pifferaio magico" e la sua riforma - eccettuato, e ne conosco, chi si è fatto illudere in buona fede da un rassicurante mondo di cartapesta - lo fa sposando e facendo sposare ai cittadini l'idea che la riforma antiregionalista non ci tocchi, perché potremo - se passasse - riscrivere uno Statuto nuovo che rilancerà, d'intesa con lo Stato, la nostra Autonomia speciale. La norma transitoria che lo permetterebbe è però ambigua ed agisce in un clima di ostilità manifesta di chi, compreso Renzi, ha scritto in epoca non sospetta che la Specialità è da sopprimere e l'antiregionalismo generale permea la riforma costituzionale e chi cita quella sorta di baraccone che sarebbe il nuovo Senato come conquista federalista non sa davvero cosa dice. La verità è che le Regioni sono concepite come enti inutili, spogliati di funzioni e competenze e fa sorridere chi immagina che in questo deserto possa spuntare il fiore di una rafforzata Autonomia valdostana con l'aiuto di Matteo, che nel frattempo ha impoverito la nostra autonomia finanziaria, dando qualche "mancetta" al posto delle certezze dei vecchi riparti fiscali. La Valle d'Aosta rischia grosso se votasse "sì", perché è come mettere fischiettando allegramente la testa dentro una ghigliottina pronti allo "zac". Passata la festa, gabbato lo santo: con il nuovo sistema istituzionale sopprimere con legge costituzionale la specialità, toccando non gli Statuti, ma l'articolo 116 della Costituzione che li fonda sarebbe uno scherzo da ragazzi. Mi auguro, per tutte queste ragioni, che vinca il "no"; se vincesse il "sì" non mi sentirei comunque di demordere, perché son fatto così.