Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
12 dic 2016

Il NO chiude un ciclo politico

di Luciano Caveri

Sono andato a dormire presto ieri sera, pensando di vedere gli esiti di primo mattino o con una sbirciatina notturna. Poi - che posso farci? - la curiosità del cronista e la febbre della politica hanno avuto il sopravvento e ho seguito le fasi più calde dell'esito referendario: dall'assestarsi del successo del "no" alla dignitosa assunzione di responsabilità della sconfitta di Matteo Renzi. Il fu Premier aveva giocato due partite in una, scegliendo che fossero inscindibili: una riforma costituzionale per rafforzarsi e il plebiscito personale. Il comitato disposto dei due lo ha affondato. Sono contento del risultato, sia per l'esito complessivo che per il voto in Valle d'Aosta. Mi piacciono meno certi trionfalismi di chi vuole portarsi a casa i meriti, perché si tratta invece di un merito collettivo di posizioni politiche diverse fra loro e con interessi futuri non sempre coincidenti.

Ma non bisogna temere il vuoto politico, perché era ben peggio la continua commedia renziana e quella rete di potere diffusa che stava creando in una logica di divisione e di polemica continua, che ha sortito il grosso della mobilitazione popolare. Si tratta ora di mantenere i nervi saldi e offrire soluzioni politiche a cittadini che questa volta hanno smentito Ennio Flaiano e la sua caustica battuta: «Una qualità degli italiani è quella di volare in soccorso dei vincitori», mentre appare perfetta per Renzi quell'altra battuta di Marcello Marchesi: «Mi sento sotto la cresta dell'onda». Una strada l'ha indicata con lucidità, prima della giornata di voto, Massimo Cacciari su "L'Espresso" con un ragionamento che sottoscrivo: «Vinca il No o vinca il Sì, prevarrà poi nello sfortunato vincitore la ragionevolezza necessaria per riprendere il filo di un vero riformismo. Autonomia e responsabilità, nel loro nesso inscindibile, dovrebbero costituirne i principi. Autonomia fondata su assoluta chiarezza nelle proprie competenze e funzioni e sulla responsabilità nel reperimento delle risorse per adempierle. Ciò non sarà mai possibile con l'attuale assetto delle Regioni, con l'attuale sistema dei loro rapporti con lo Stato. Suona quasi risibile la solenne affermazione della Carta che la Repubblica è formata da Regioni, Comuni, Città metropolitane; la Repubblica e in realtà ancora lo Stato ministeriale, burocratico, romano-centrico; e questa riforma non lo muta pressoché in nulla. Ancor di più, un'autentica riforma dovrebbe svolgere, esplicitare il senso più profondo della Costituzione, quello che riguarda l'idea di popolo che vi si trova implicita: non multitudo, non turba di individui tutti uguali, da governare dall'alto attraverso frasi, promesse e soprattutto tasse (per chi le paga), ma pluralità di soggetti, che convengono autonomamente tra loro in organismi dotati di personalità giuridica e Politica ai quali perciò possono essere conferite funzioni rilevanti per il bene comune. La nostra Costituzione auspicava il formarsi di un simile popolo; sessant'anni di centralismo, lo Stato-dei-partiti prima e la sua liquidazione senza alternativa più, l'impotenza dimostrata da tutte le forme sindacali nel superare corporativismi e clientelismi, hanno finito col renderlo una vuota speranza? Sarà questo comunque il fronte su cui si decideranno, in un senso o nell'altro, le sorti della democrazia, e non solo in Italia». Il federalismo verticale e orizzontale, la sussidiarietà, la forma di Stato ancora prima della forma di Governo e delle leggi elettorali: sono temi complessi su cui cercare punti di confronto su cui ripartire in una stagione riformista. In Valle d'Aosta - su cui toccherà tornare - è stata sconfitta la linea filogovernativa indicata da Union Valdôtaine e Stella Alpina, a rimorchio dei due parlamentari valdostani, che sono stati sconfessati nel loro voto positivo alla riforma. Perdente anche il Partito Democratico valdostano pancia a terra e arroganza nel solco del renzismo. La difesa dell'Autonomia e il suo rilancio non passava da questa Controriforma con la foglia di fico di un'intesa per un nuovo Statuto senza reali garanzie. Ora tocca riflettere sia da parte di chi ha vinto nel pluralismo dello schieramento fatto anche di alleanze impossibili sia da parte degli sconfitti, specie di area autonomista. Sperando che valga per loro l'osservazione foriera di buonsenso di Paulo Coelho: «Tutte le battaglie nella vita servono a insegnarci qualcosa, anche quelle perdute». Personalmente mi sono battuto per il "no", subendo anche qualche minaccia, ma la lunga consuetudine parlamentare con la materia costituzionale non offriva alternative alla bocciatura della riforma Renzi-Boschi e così, con qualche apprensione, è stato.