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19 ott 2016

La prima neve

di Luciano Caveri

La prima neve l'ho vista per ora dalle finestre del mio ufficio, caduta ad una quota, a naso, di poco meno di un migliaio di metri sopra la città di Aosta nel versante che porta sino alla conca di Pila e mi ha messo un naturale buonumore, che vorrei in qualche modo comunicare a chi presenta le previsioni del tempo in televisione e sembra indossare il cilicio ogni volta che dire che il tempo sarà brutto. Tranquilli, fa parte della normalità che questo avvenga a queste nostre latitudini! Leggano in "Terre des hommes" cosa diceva acutamente Antoine de Saint-Exupéry: «Heureux les pays du Nord auxquels les saisons composent, l'été, une légende de neige, l'hiver, une légende de soleil, tristes tropiques où dans l'étuve rien ne change beaucoup, mais heureux aussi ce Sahara où le jour et la nuit balancent si simplement les hommes d'une espérance à l'autre».

Io come "homus alpinus" (non come razza, essendocene una sola, quella umana, ma come senso di appartenenza culturale!) trovo che un paesaggio con la neve mi si confà e semmai trovo deprimenti e insopportabili quegli autunni e quegli inverni troppo spogli. Mi piace aggirarmi con la neve, avere lo scricchiolio sotto le scarpe, vedere i fiocchi che cadono in quel silenzio talvolta irreale, mi piace come la neve non sia monotona ma abbia diversi abiti e potrei proseguire per molto nel declinare i miei pensieri. Semmai è proprio questo che, accanto alla gioia dell'arrivo della neve, mette un pizzico di nostalgia, perché la neve accende ricordi - come la "madeleine" di Proust ma con il senso della vita - e dunque ha ragione il grande scrittore di montagna Mario Rigoni Stern quando annota: 
«La neve ti mette tanta malinconia. Io ricordo quando sono nella mia stanza o a casa mia e vedo nevicare, la prima neve d'autunno, è una valanga di ricordi che ti preme il cuore». Ma è un sentimento leggero e non greve, come ricordava Italo Calvino in una sua secca frase: «La melanconia è la tristezza diventata leggera». Come la neve, appunto, che semmai - come molte cose nella nostra vita - si trasforma poi nel tempo, indurendosi, marcendo, facendosi in certi casi come grumi grigi sino a scomparire. C'è sempre un'altra faccia della medaglia. Da domani inizia in Valle d'Aosta l'obbligo di catene a bordo degli automezzi o il cambio delle gomme con quelle invernali. Per quanto in una Regione di alta montagna la neve non sia un sorpresa (l'anno scorso a Ferragosto ero sotto una fitta nevicata al passo del Piccolo San Bernardo), questa prima neve già così in basso suona davvero come un punto a capo della stagione, anche se con il passare del tempo diventa soggettiva la sospettosità, come da antico proverbio "neve sulla foglia inverno che fa voglia" che significa che se nevica troppo presto (Ottobre - Novembre) a quote basse l'inverno non sarà freddo e nevoso. In realtà poi, fatto salvo il riscaldamento globale visto che ogni anno sulle Alpi cresce la temperatura media annuale, a dimostrazione che si può sempre dire tutto e il suo contrario, leggevo ieri un'altra versione dei fatti: nel 2019 potrebbe cominciare, per via di una diminuzione dell'irraggiamento solare (qualcuno ha scritto "spegnimento", che mi pare veramente da menagrami), una mini "era glaciale" che durerebbe una trentina d'anni, per cui mi vedo già vecchio bacucco con la copertina e il cappellino con il pon pon, se davvero il sole prendesse una vacanza. Avendo, però, letto mille volte previsioni di questo genere, esprimo sul punto un vago scetticismo e mi felicito che in genere, quando ci sono correnti di pensiero molto contrapposte, vale l’altro adagio "in medio stat virtus". Per cui, come si dice, chi vivrà vedrà: intanto guardo le ampie volute dei fumi dei camini, la nebbia frammista a nuvole, quella neve che combatte la sua prima battaglia, aspettando che arrivi l'inverno, quando - sperando in una stagione innevata - avrà di certo più campo libero.