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07 set 2016

Il "caso Raggi" scuote la politica

di Luciano Caveri

Governare Roma era un rischio calcolato per i pentastellati. L'istinto generoso del fondatore Beppe Grillo ed il freddo calcolo dello scomparso guru Giandomenico Casaleggio penso coincidessero, quando nella Capitale si era capito che i cittadini elettori avevano deciso che ai "Cinque Stelle" toccasse il compito di governare. E - lo dico perché l'ho visto spesso in tanti anni di politica - stare all'opposizione o in maggioranza non è la stessa cosa e non sempre il passaggio da una sedia all'altra è un automatico successo, perché governare è difficile e faticoso e la bacchetta magica non ce l'ha nessuno in tasca. Soprattutto in anni come questi in cui le competenze contano molto e non ci si improvvisa e le scarse risorse economiche pubbliche rendono difficili certi giochi di prestigio del passato. A Roma il successo dei "grillini" (per ora - poche balle!- Grillo resta il leader) è stato una felice combinazione fra quanto già detto - cioè la voglia di svoltare dopo l'ennesima fogna, questa volta "Mafia Capitale" - e la candidata, Virginia Raggi, la ragazza carina della porta accanto, pure avvocato.

Per quanto avesse fatto il praticantato nello studio del tristemente celebre Cesare Previti - berlusconiano di nera estrazione - lei stessa ha sempre negato legami con il vecchio apparato di potere capitolino e dava l'impressione di essere convincente ed i primi passi al Campidoglio sembravano ispirati ad un prudente buonsenso e all'idea di fare pulizia. Ma poi pian piano, nel giorno dopo giorno, la "Sindaca" è parsa prigioniera non solo dei famosi "direttori" che piacciono ai "Cinque Stelle", ma anche di un caratterino non facile e di un'inesperienza sconcertante sin dal primo intervento in Consiglio comunale, fatto di "copia e incolla" e di una capacità dialettica poverissima. Da lì in poi una gaffe dietro l'altra e molte bugie che hanno cancellato in fretta l'aria "acqua e sapone" in un vortice - sin dalle nomine in Comune - di lite e di veti incrociati fra gli esponenti di spicco del Movimento, che danno l'idea di faide e vendette che cancellano la proclamata "diversità" dei grillini. Sino alle notizie di queste ore - evito una ricostruzione minuta, perché è fatta per esteso sui giornali - con dimissioni di personalità chiave della macchina comunale di fronte a pasticci amministrativi di sindaco e Giunta, che ha perso l'assessore più prezioso. In più la Raggi ha taciuto di sapere che un altro suo assessore, Paola Muraro, era sottoposto ad indagine per vicende legate ai rifiuti. Oltretutto rispunta in una nomina il legame della Raggi con l'entourage di Previti. Ha scritto la giornalista Lucia Annunziata: «Dunque, abbiamo appreso nel corso di una audizione della Commissione sulle ecomafie che Paola Muraro, assessore all'ambiente, uno dei settori chiave che gestisce anche i rifiuti, è indagata dal 21 aprile 2016. Abbiamo ulteriormente appreso che lei ne era a conoscenza fin dal 18 luglio. Undici giorni dopo l’insediamento della Giunta capitolina. Abbiamo poi appreso che anche la Sindaca Virginia Raggi ne era stata informata il giorno successivo, il 19 luglio. Cioè la massima autorità del Campidoglio ed un assessore capitolino sapevano di questa indagine e non hanno detto nulla. Anzi, hanno continuato in questi mesi a negare. A dare la colpa a complotti, a poteri forti, ai giornalisti. Invece stavano semplicemente mentendo. Mentire è stata una scelta frutto di incompetenza, di superficialità, o di vera e propria malizia? E' stata fatta in buona o cattiva fede? O magari è il risultato finale di un errato calcolo politico nella sempre più aspra guerra interna? Le prime risposte date dalle due durante la audizione in Commissione fanno trapelare un intreccio di tutti questi motivi. A fronte delle rivelazioni, infatti, sia la Raggi che la Muraro si sono distinte per un atteggiamento sia elusivo che arrogante». Il finale dell'articolo è molto secco: «Com'è possibile che la Sindaca e il suo assessore non abbiano capito che per una forza politica, come i pentastellati, che alla radice della sua fondazione (e del favore popolare di cui gode) ha due parole, "onestà" e "trasparenza", la menzogna è la peggior violazione dell'etica che il loro movimento vuole ricostruire, è il tradimento delle migliaia di cittadini che li hanno votati proprio in nome della loro onestà? E a chi altro hanno mentito? Al Direttorio? Ai propri consiglieri nella Giunta? A Di Battista? Di Maio, Grillo? Quella delle due signore del Campidoglio è a tutti gli effetti una mossa di autodistruzione. Che rischia di trascinare la reputazione di tutto il Movimento, e di vanificare la spinta ideale di chi questo Movimento l’ha votato». La tesi del complotto non sta in piedi e, come si dice, "chi è causa del suo mal pianga se stesso".