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16 ago 2016

Una scrittrice che ama la Valle

di Luciano Caveri

Non mi pare che esista una sorta di antologia con brani di scrittori non valdostani che abbiano dedicato parte del loro lavoro alla Valle d'Aosta. Senza citare i soliti Pietro Giacosa o Salvator Gotta, mi vengono in mente - ma chissà chi dimentico - Lalla Romano, Natalia Ginzburg, Laura Mancinelli e mi ricordo un romanzo d'avventura di Robert Ludlum che mise nel libro un inesistente trenino fra Ayas e Zermatt! Oggi si parla molto - per via della fiction televisiva girata quest'estate ad Aosta e che arriverà sugli schermi "Rai" - dello scrittore romano Antonio Manzini e del suo vicequestore Rocco Schiavone, che in una serie di libri gialli - che ho trovato divertenti - ambienta storie sul territorio valdostano in cui il protagonista, trasferito ad Aosta per punizione, risolve casi polizieschi.

Ma, prima di lui, nel filone "noir" (un tempo si diceva "giallo" dal colore della copertina della serie "Mondadori" nata nel 1929), ma in una suggestiva ambientazione medioevale, c'era già Valeria Montaldi con il suo libro del 2001 "Il mercante di lana", che si svolge principalmente nella comunità walser della Valle del Lys e che riprende la leggenda valdostana del paese di Felik scomparso, perché inghiottito per punizione dal ghiacciaio con le anime degli abitanti che vagano ancora come fantasmi (da bambino mi faceva una viva impressione!). Una storia quella del libro avvincente e dai contorni di romanzo storico, in cui lo scenario naturale e umano deriva da uno studio attento del contesto in cui si muovono i personaggi, conseguenza anche dal fatto che la Montaldi è da decenni affezionata villeggiante a Gressoney-La-Trinité. E' lì che ho avuto il piacere di incontrarla, dopo aver letto il suo ultimo libro, "La randagia", nel quale - in ambientazione valdostana in parte celata da luoghi di fantasia come toponomastica - agisce (per non ricopiare il poliziotto di Manzini, come spiegato esplicitamente), un tenace e talvolta malinconico maresciallo dei Carabinieri di Aosta, Giovanni Randisi, che par di capire destinato a nuove avventure in futuro. E' lui a ritrovarsi di fronte ad un caso di cronaca nera: un delitto con morta in un castello diroccato (tocca al lettore scoprire quale sia, io lo so ma non lo dico) ed un'altra ragazza scomparsa. Questi fatti si incrociano, in un viaggio nel tempo, con le sorti di una donna - in sequenze avvenute nel remoto 1494 - tale Britta de Johannes, accusata dall'Inquisizione di essere una strega. La Montaldi ha studiato queste storie allucinanti di streghe torturate ed uccise grazie ai lavori sui documenti dell'epoca dei valdostani Silvia Bertolin ed Ezio Gerbore, che danno conto di vicende terribili di un passato che ci deve far riflettere sulla condizione femminile. Ben sapendo come purtroppo ancora oggi le donne vengano uccise e per alcune culture - pensiamo ad alcuni aspetti deteriori dell'islamismo - l'inferiorità femminile sfoci nella mortificazione del corpo fino ad arrivare all'orrore della lapidazione. Nel libro, in un incalzare mozzafiato che non ti fa mollare la lettura, la storia del passato e del presente si incrociano e infine si svelano con sorpresa finale che naturalmente non dico. Credo sia la prima volta che si parla dei "secret", le formule di guarigione della tradizione popolare valdostana ancora ben in uso, ma guardando non solo al lato buono, ma anche quello oscuro delle maledizioni. Insomma magia bianca e magia nera. La scrittura della Montaldi è come lei: essenziale e arguta, senza arzigogoli e questo scrivere franco e diretto dà ritmo al racconto, che resta secco e coinvolgente. A sentire l'autrice parlare della nostra terra nella piazzetta di Gressoney-La-Trinité, come due sere fa, c'è stata la conferma - ad esempio con una dimostrata conoscenza dei castelli valdostani - di un amore sincero per la Valle e per le sue tradizioni antiche e quelle - nel solco di una rara continuità con il passato da lei stessa rimarcata - ben viventi.