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11 ago 2016

Pensieri sulle Olimpiadi

di Luciano Caveri

Non trovo migliori parole di quelle del mio amico, giornalista sportivo de "La Stampa", Luca Casali, quando descrive nell'inizio di un articolo la storia incredibile di una delle due atlete valdostane alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, che cominciano oggi. Catherine Bertone, valdostana di adozione, medico di professione, anni 44, quando forse i Giochi Olimpici potevano essere considerati un sogno irraggiungibile. L'altra è la triatleta di Gressan Charlotte Bonin, al suo secondo impegno olimpico. Scrive Casali della Bertone: "L'aria è frizzante alle sei del mattino. Anche in piena estate. Ed a Catherine Bertone quella sensazione di freschezza regala solo libertà. E gioia. La corsa per lei è vita. Roma, il giorno prima che il "Coni" approvasse la lista proposta dalla "Federazione italiana di atletica leggera". Bertone non sapeva ancora se sarebbe stata o meno per la prima volta nella vita un'atleta olimpica. Eppure si è alzata all'alba, ha indossato le scarpette ed è andata ad allenarsi: «Il mio lavoro e la mia famiglia. Sono questi due fattori che mi ridimensionano l'esistenza, che mi fanno capire che la corsa è solo una delle tante ragioni della mia vita. Andrò alle Olimpiadi a correre la maratona ed è un sogno che si avvera. Ma lo capisco più dalle emozioni che mi trasmettono tutte le persone che mi incontrano che da quelle che, per ora, riesco a provare»".

Mi sento di dire che la Bertone è una rivincita ed una speranza. Una rivincita contro Olimpiadi sempre più incomprensibili e affaristiche, dove l’assegnazione delle sedi nasconde camarille da vergogna. Ed è anche una speranza perché, anche nella sua disciplina che è la marcia (Alex Schwazer vi ricorda qualcosa?), il doping va come il pane ed è una delle spine che costellano ormai le carriere sportive nel continuo "guardie e ladri" fra chi controlla e chi usa sostanze per alterare a proprio favore i risultati. Lei è "pulita" ed è arrivata alle Olimpiadi con le unghie e con i denti. Singolare il fatto che, proprio da Rio de Janeiro, arrivi la notizia - attesa da tanti anni da molti valdostani - che lo sci alpinismo è diventato disciplina olimpica e dunque, se ho ben capito i meccanismi, potrebbe essere "sport dimostrativo" nel 2018 in Corea del Sud e diventare gara ufficiale nel calendario olimpico a Pechino nel 2022. Questo fa piacere: ho seguito per anni, come presidente del "Trofeo Mezzalama", l'evoluzione di questo sport, ritenendolo sempre ben più degno di certi esistenti sport olimpici, ma si sapeva che il cammino sarebbe stato irto di difficoltà e anche ora non bisogna dare nulla per scontato. La spettacolarità della disciplina, la capacità di attrarre l'attenzione per la forza atletica e agonistica delle gare, la straordinarietà di possibili panorami in cui si inserisce sono elementi importanti. Basta guardare certi filmati, realizzati anche per "Rai Vd’A" con il "Mezzalama", il "Tour du Rutor", la "Patrouille des glaciers" o la "Pierra Menta", per vedere come - rispetto anche a certa monotonia delle riprese dello sci alpino o del fondo - lo sci alpinismo possa davvero primeggiare anche negli ascolti, se svolta su percorsi credibili. Resta, insomma, la soddisfazione che la Valle d'Aosta sia stata, proprio con il "Mezzalama" dagli anni Trenta del secolo scorso, una delle culle dello scialpinismo e se le Olimpiadi del 2026 andassero davvero ai cantoni svizzeri di Vaud e Valais ci sarebbe da riflettere seriamente come collaborare su questa gara - come Valle d'Aosta - sulle cime del Monte Rosa per avere un pezzettino condiviso di quei cerchi olimpici. Intendiamoci bene: non mitizzo le Olimpiadi attuali, come osservavo già all'inizio. Ed è la ragione per la quale - per la versione estiva - spero che Roma lasci perdere la candidatura per il 2024, visto che la città è in ginocchio per mille emergenze e molti di quelli che spingono per avere i Giochi lo fanno solo per innominabili ragioni affaristiche. Questo degrado vale anche per scelte olimpiche per l'edizione invernali e Pechino come sede - città inquinata che sorge a 44 metri di altitudine - in effetti fa ridere i polli. Tuttavia resta, sotto l'immondizia, un valore residuo, che è fatto dal flebile battito dello spirito olimpico e dalla grande platea televisiva.