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07 lug 2016

Il bene comune senza maschere

di Luciano Caveri

La storia è stranota e spesso evocata come esempio sulla vigilanza che bisogna esercitare quando si strumentalizzano grandi ideali per bassi fini. La viscontessa Marie-Jeanne Roland de la Platière, nata Manon Philipon, chiamata spesso "Madame Roland" o "Manon Roland" (Parigi, 17 marzo 1754 – Parigi, 8 novembre 1793), fu moglie e consigliera di Jean Marie Roland, visconte de la Platière (1734-1793), Ministro dell'interno di Luigi XVI, Re ghigliottinato nel gennaio del 1793. Animatrice culturale dei salotti girondini (era nota come "La Musa dei Girondini"), dopo la caduta dei girondini, venne arrestata e condannata a morte: condotta alla ghigliottina, prima che la sua testa rotolasse, passando dinanzi alla statua della Libertà, avrebbe pronunciato la celebre frase: «Oh Liberté, que de crimes on commet en ton nom!». Poche ore dopo il marito disperato si suicidò, infilzandosi con una spada.

In effetti la Rivoluzione francese, momento fondante di una svolta della civiltà occidentale, svilì certi valori importanti di cui fu interprete, specie con l'uso di una violenza cieca, venata da distorsioni ideologiche e da terribili giochi di potere. Oggi si usa la prosopopea per nascondere le debolezza della politica, che è diventata indistinguibile: Roma prima e Aosta poi hanno dimostrato che sono possibili cambi nelle maggioranze di governo che avvengono non per ragioni forti e inoppugnabili, ma nel nome di un principio vago che è racchiuso nell'espressione "bene comune", che dovrebbe essere uno sbiancante contro ogni macchia e invece di vergogne e miserie ne vedo tante ora e pure all'orizzonte. Il Cardinale Carlo Maria Martini, oltreché un alto prelato era una figura di intellettuale dalle conoscenze profondissime e fu protagonista all'inizio degli anni Novanta di conversazioni, che vennero pubblicate nel volume "Viaggio nel vocabolario dell'etica". Queste sono le sue riflessioni preziose su "bene comune": «L'espressione "bene comune" è piuttosto difficile da definire, anche se non sembra. Essa è composta di due parole: "bene" e "comune". 
"Bene" significa il complesso delle cose desiderate che vorremmo augurare a noi ed alle persone cui siamo legati.
 Comune deriva probabilmente dal latino "cum munus" che vuol dire compito fatto insieme, adempiuto insieme.
 Tuttavia questo non basta per spiegare il senso dei due termini congiunti - "bene comune" -, soprattutto come esso è inteso nella tradizione cristiana e, specialmente, nel Concilio Vaticano II. 
Cominciamo col dire che cosa non è il "bene comune": non è semplicemente un patrimonio comune, qualcosa posseduta da più persone (ad esempio un campo o un bosco il cui proprietario è un gruppo, una comunità); non è un insieme di beni sociali (come la tradizione tecnologica o un'alta tradizione politica di una società), pur se fanno parte del "bene comune"; non è neppure l'insieme dei diritti dell'uomo. Tutte queste realtà appartengono al "bene comune", ma non lo costituiscono.
 Che cos'è allora il "bene comune"?
 E' l'insieme delle condizioni di vita di una società, che favoriscono il benessere, il progresso umano di tutti i cittadini.
 Ad esempio, "bene comune" è la democrazia; "bene comune" sono tutte quelle condizioni che promuovono il progresso culturale, spirituale, morale, economico di tutti, nessuno escluso.
 Ci accorgiamo allora quanto sia importante e prezioso questo "bene comune". In qualche maniera è previo al costituirsi di una società (perché esso consiste nella realtà dei rapporti ben stabiliti tra le persone), e nello stesso tempo deve risultare dall'impegno di tutti e non solo di alcuni.
 Sul "bene comune" sono dunque chiamate a vegliare le istituzioni - la famiglia, la scuola, tutte le realtà sociali -; ciascuno di noi e noi tutti insieme siamo responsabili di esso». Notate la capacità di sintesi e la sua efficacia, oltre alla responsabilità assegnata a ciascuno. Per cui viene davvero da dire: «Giù le mani dal "bene comune"!». Nel senso che non c'è nulla di più odioso di usare dei mascheramenti - carpendo oltretutto la buona fede di persone che ci possono cascare per legittime operazioni di potere o di vantaggio personale - che in politica ci sono sempre state, ma quel che colpisce è che non si vuole dire in certi casi la verità e si usa il camuffamento. Ma delle maschere - come ricorda con efficacia il drammaturgo Luigi Pirandello - bisogna diffidare. Come scriveva lui stesso: «Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti». Si tratta di strapparle, certe maschere.