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30 giu 2016

La crisi d'identità della Lega

di Luciano Caveri

La Lega è andata male alle elezioni comunali: simbolo chiarissimo è la sconfitta in tutta la Lombardia, ma soprattutto a Varese, città culla del leghismo. Forse l'unica eccezione è l'Emilia-Romagna, mentre a Roma ed al Sud è stata una catastrofe. Insomma. all'elettorato non è piaciuta la svolta giustizialista e molto a destra, fino a flirtare in un recente passato, ed in Valle d’Aosta è ancora così, con "CasaPound" e con movimenti di estrema destra europei e Marine Le Pen è solo la punta dell'iceberg, perché certi movimenti fiamminghi occhieggiano persino al nazismo. Avendo visto nascere la Lega e pensando ai caldissimi congressi cui venni invitato per alcuni anni a partire dalla fine degli anni Ottanta, penso che questa scelta di Matteo Salvini di spingersi a destra e lasciare la vocazione nordista del Movimento non sia piaciuta per nulla alla "base".

Troppo spesso i leader politici danno per scontato che il fascino del loro carisma possa portare a spasso gli elettori, sempre fedeli. Invece, oggi come non mai, se il cittadino scopre doppiogiochismo ed ambiguità o non vota o cambia cavallo. Frequentare l'estrema destra, per capirci, ha significato mettere in soffitta ogni ambizione federalista, messaggio di partenza della Lega, spintasi anche su posizioni indipendentiste. Ma era facile vedere, nell'abbraccio bossiano con Silvio Berlusconi (prima "tradito" e poi ritrovati con i ferrivecchi neofascisti di "Alleanza Nazionale") che la strada federalista - con i ritrovi di Pontida e le ampolle alle sorgenti del Po - erano stati "traditi" da scelte incompatibili. Aggiungiamoci scandali e scaldaletti familistici della famiglia Bossi e la frittata era già fatta ed era difficile fare di peggio. Ed invece il mediatico ed abile Salvini ha deciso di saltare sulla tigre del populismo di estrema destra ed una parte del suo elettorato se n'è andato, senza essere sostituito da altri. Puntualizzo che questa idea di fare della Lega un partito nazionale era sin dall'inizio un'idea balzana. Anzi la logica inversa del "Partito del Nord" ci stava del tutto ed aveva spazi, non solo folkloristici o xenofobi enormi, ma poi si è usciti da questi binari e vorrei indicare una cartina di tornasole che sottolinea l'evento. Umberto Bossi, leader istrionico e con gran fiuto politico (ma si è scoperto che, all'italiana, "teneva famiglia") aveva capito che nelle Regioni a Statuto speciale c'erano elementi di un "quasi federalismo", che poteva essere il punto di riferimento anche per grandi Regioni come Lombardia, Veneto e Piemonte. Ma poi ha prevalso la linea dell'invidia e della gelosia, vale a dire si è cominciato a predicare che la specialità era un privilegio - e non più un modello - nella logica ingenuotta di "tutti uguali", non al rialzo - come in un genuino progetto federalista per l'Italia che poteva ottenerlo - ma al ribasso nel nome di egualitarismo antistorico e pure masochista, pensando alle aspettative di più libertà invocate nelle loro grandi manifestazioni di piazza. La Lega governava con Berlusconi e invocava una sempre più vaga "Padania libera" con uno zoccolo duro di militanti coesi che a un certo punto in questa logica di partito di lotta e di governo non si sono più ritrovati, essendo una scelta così contraddittoria del tutto schizofrenica. I militanti se ti amano ti seguono volentieri, ma se si rendono conto di girare in tondo o che li si porta in strade diverse da quelle promesse resistono per un pochino per amor di bandiera, per poi ad un certo punto prenderti a schiaffoni, come sta avvenendo. Sono curioso di vedere come reagirà Salvini: se si libererà di amicizie imbarazzanti, abbandonerà posizioni urlate e estremiste (e non si tratta di togliere la felpa, perché anche con la giacchetta con Trump a Salvini non è andata bene) e magari tornerà a lavorare su un partito più territoriale che nazionale a magari capirà che il federalismo non è qualche cosa da buttare via, ma una chiave interpretativa del futuro in chiave europea. Perché, sia chiaro, certo anti-europeismo i popoli che la libertà la vogliono non lo cavalcano, consci che l'Europa - se opportunamente resettata - può essere un alleato e non un nemico. Lo sanno i catalani e lo dicono - dopo il "Brexit" - all'Inghilterra gli indipendentisti scozzesi e gli irlandesi del Nord che voglio un'Irlanda unita, mentre i leghisti gioiscono della "Brexit" come se il loro modello fossero i vecchi inglesi che hanno trascinato Il Regno Unito in una posizione che sarà di marginalità politica e strategica. Sono questioni complesse e nessuno sa bene cosa capiterà in questa situazione. Ma mi par di capire che - come una stella che indica il cammino - quel che bisogna del tutto evitare è essere incoerenti: dire una cosa e farne un'altra, stravolgere le ragioni politiche per cui sono nati certi partiti, essere convinti che i Capi possano fare e disfare nella pia illusione di avere un tocco divino.