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26 giu 2016

Le Comunali: un gran legno per Renzi

di Luciano Caveri

Tocca parlare delle elezioni comunali e del loro esito, anche se nelle prossime ore si rischierà la tracimazione mediatica, però glissare sul punto stamattina qui sul Blog sarebbe stato omissivo, visti i molti spunti utili così come si evince dai risultati derivanti dall'esito delle urne. Comincio col dire con serenità che con il 2016 si chiude un ciclo di retorica sull'elezione diretta del sindaco e sul cosiddetto e defunto "Partito dei Sindaci", che per un periodo piuttosto lungo sono stati protagonisti di una stagione vincente di feeling con i propri cittadini. Sgombriamo inoltre il tavolo da un problema: è vero che le elezioni politiche sono le vere elezioni generali, ma ogni altro test elettorale anche parziale serve per capire dove vadano gli umori, ormai rapidamente cangianti, di un elettorato sempre più mutevole, quando a votare il cittadino ci va e non sceglie il più grande partito ormai esistente in Italia, quello degli astensionisti. Elettori che, quando torneranno alle urne, saranno sfracelli, perché restano loro la crescente novità della politica italiana più di qualunque altro fenomeno.

Per cui nessuno può far finta che le elezioni amministrative in alcune grandi città siano state un accidente che nulla conta come barometro politico per il presente e il futuro per via di situazioni particolaristiche, specie non può farlo quel Matteo Renzi - che non è mai stato sottoposto ad un passaggio elettorale come candidato in pectore e poi entratoci a Palazzo Chigi come "Sindaco d'Italia", dopo esserlo stato a Firenze - che invece cavalcò, come segno del suo appeal di uomo della Provvidenza, proprio il voto per il Partito Democratico alle elezioni europee del 2014, che pure aveva dinamiche tutte sue. Ma veniamo ai risultati: i "Cinque Stelle" sfondano a Roma con Virginia Raggi che straccia Roberto Giachetti del PD ma di radici radicali, ma soprattutto vincono a Torino con Chiara Appendino che umilia Piero Fassino un politico di lungo corso, nato comunista e poi - dopo un lungo percorso nazionale con diversi incarichi - diventa presidente della potente Associazione dei Comuni. Il PD conquista per un pelo Milano con il manager Beppe Sala, che sconfigge il manager del centrodestra Stefano Parisi. Svetta poi a Napoli il bizzarro e solitario Luigi De Magistris e segnalo che il centrodestra strappa al centrosinistra Trieste con Roberto Dipiazza. A conti fatti una gran batosta per Matteo Renzi, che aveva già trasformato questo passaggio elettorale in una premessa al referendum sulla riforma costituzionale di ottobre, invocando all'inizio della campagna elettorale, per poi pentirsene, una sorta di plebiscito sulla sua persona e sulla sua politica. Direi che e stato accontentato. Per contro i "pentastellati" (un tempo solo "grillini") si affermano e verranno chiamati a governare, che è sempre più difficile che fare opposizione. Per altro il successo elettorale li sdogana ulteriormente e li legittima con forza, obbligandoli a dimostrare se si ci sapranno fare. Il centrodestra, con un Silvio Berlusconi pure malato che per ora non molla la declinante leadership, è in crisi nera e lo sono in particolare quegli alfaniani che si sono bruciati avvicinandosi a Renzi nel nome della governabilità. Scriveva stanotte Lucia Annunziata: «Con sufficiente sicurezza si può dire che con gli umori che attraversano oggi le urne, il referendum sulle riforme di ottobre è destinato a sicuro insuccesso. E con sicurezza maggiore si può anche azzardare a dire che se si votasse oggi per le politiche, sulla base di questi risultati Palazzo Chigi sarebbe perso per Matteo Renzi». Ci rifletta anche quella parte politica valdostana che dal berlusconismo è passata con destrezza al renzismo e ci riflettano anche coloro che in Valle hanno cambiato schieramento per farsi attrarre dalle sirene governative: emerge dai voti di queste ore che questo non piace agli elettori.