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31 mag 2016

Attenzione alle sirene

di Luciano Caveri

Si dice anche nel linguaggio adoperato nella vita quotidiana che bisogna «fare attenzione alle sirene» e cioè a chi - per semplificare - usa le sue doti seduttive e di convincimento solo per ingannarti. La storia della sirena è interessante: oggi pensiamo tutti - ed Internet è pieno di filmati che ne dimostrerebbero persino la loro esistenza reale... - ad una "donna-pesce", ma in realtà all'origine (e lo si dovrebbe capire dal suo celebre cantare) era una "donna-uccello", immagino più graziosa di un'arpia. Solo nel secondo secolo d.C. la figura mitica passa dall'aria all'acqua. C'è chi scrive che fu un amanuense del tempo, in qualche bestiario, a sbagliare la parola latina "pennis", scrivendo invece "pinnis", che significa "pinna" ed ecco la trasformazione per un errore di trascrizione.

C'è chi ascrive il cambio al Cristianesimo che vedeva queste creature come esseri del male. Dato che solo gli angeli potevano avere attributi quali le ali, si decise di cambiarle in pinne. Ma esiste pure la teoria che le pinne e l'aspetto pesciforme derivi dall'influenza della tradizione folklorica nordica, che incise nel cambiamento. A conferma del rischio di inseguire le teorie, la "Treccani" ricorda come l'etimologia del nome delle Sirene siano molteplici e i risultati non sicuri: "alcuni ne hanno ricollegato il nome con la radice semitica "sir - canto"; altri si sono richiamati al greco "σειρά - fune, corda", sicché "sirena" sarebbe "colei che incatena, che avvince"; altri ancora hanno ravvicinato il nome delle sirene a "σείριος - ciò che brilla, che arde", guardandole come la personificazione dell'incanto del mezzogiorno". Certo a tutti viene in mente Omero, quando - nella sua "Odissea" - Circe descrive le sirene ad Ulisse come le muse del mare, che ammaliano col loro canto i naviganti. Così quando la nave di Ulisse giunge in loro prossimità si calmano i venti e si sente la dolcissima voce delle sirene, che chiamano Ulisse e gli rievocano le gloriose gesta compiute intorno a Troia. Ma la stessa Circe aveva suggerito il modo di evitarle, sfuggendo alla morte certa: turare le orecchie dei rematori con la cera affinché non venissero stregati dal canto prodigioso. E così fa Ulisse con i suoi marinai, prima che le Sirene inizino a cantare, mentre lui - con una ridda di interpretazioni simboliche del suo gesto - si fa legare mani e piedi all'albero della nave, sfidando il destino per la curiosità di sentire quella melodia ammaliatrice. In questo modo lo stesso Ulisse racconta l'avventura: «Così cantavano modulando la voce bellissima, e allora il mio cuore voleva sentire, e imponevo ai compagni di sciogliermi, coi sopraccigli accennando; ma essi a corpo perduto remavano. E subito alzandosi Perimede ed Euriloco nuovi nodi legavano e ancora più mi stringevano. Quando alla fine le sorpassammo, e ormai né la voce più delle Sirene udivamo, né il canto, in fretta la cera si tolsero i miei fedeli compagni, e dalle corde mi sciolsero». Bella storia, sempre avvincente e da usare ogni volta che ci prende il timore di essere attirati in una qualche trappola con lusinghe e illusioni. Ha ragione, anche se lo pone in maniera drammatica e per fortuna non è sempre così, Ernst Jünger, il discusso ma interessante intellettuale tedesco: «Non si ritorna indietro verso il mito, il mito lo si incontra di nuovo quando il tempo vacilla dalle fondamenta sotto l'incubo di un pericolo estremo». Ancora più preciso è Italo Calvino nel suo "Le Odissee nell'Odissea": «La memoria conta veramente - per gli individui, le collettività, le civiltà - solo se tiene insieme l'impronta del passato e il progetto del futuro, se permette di fare senza dimenticare ciò che si voleva fare, di diventare senza smettere di essere, di essere senza smettere di diventare». Ragionamento da scrivere per ricordarselo.