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01 apr 2016

Le trivelle? Un problema di democrazia!

di Luciano Caveri

Seppellito in qualche angolo recondito della mia memoria c'è la certezza, moltissimi anni fa, che ci fu la richiesta, forse mai concretizzata, di fare delle prospezioni petrolifere anche nella nostra Valle d'Aosta. Cercando non trovo nulla, ma chissà che qualche lettore abbia maggior ricordo di me di qualche cosa del genere. Comunque sia sulle trivellazioni ci sarà un referendum il 17 di aprile ed un editoriale, come sempre assai documentato, di Michele Ainis sul "Corriere della Sera" mi servirà a dire come la penso. Dico già che andrò a votare e che voterò "sì". Spiega così Ainis la posta in gioco con efficace brevità: «"Sì" o "no" alle trivellazioni sull'Adriatico, però entro le dodici miglia dalla costa, però senza toccare l'estrazione di gas e di petrolio in terraferma o in mare aperto, però senza interrompere le trivellazioni in corso, però senza nemmeno incidere sulle future concessioni, già vietate dalla legge. E' in gioco unicamente l'eventualità che le compagnie petrolifere ottengano una proroga finché non s'esaurisca il giacimento, tutto qui».

In realtà questo referendum ha la particolarità di essere proposto dalle Regioni, che - pur di diverso colore - pongono un problema politico, che non deve lasciare indifferenti chi, come i valdostani, il mare non ce l'hanno. Infatti si tratta di capire se lo Stato può imporre le proprie decisioni alle Regioni senza l'apposta concertazione. Dice Ainis: «La posta in gioco: chi decide sull'energia? Secondo la Costituzione vigente, decidono insieme lo Stato e le Regioni; secondo la Costituzione prossima ventura, deciderà solo lo Stato. Ed allora ecco, puntuale, la reazione. Che non ha mai troppo riguardo alle bandiere di partito, quando c'è da presidiare l’orticello delle proprie competenze. E che oltretutto associa nove governatori eletti, contro un presidente del Consiglio non eletto. Sicché il referendum potrà delegittimare i primi, rilegittimare il secondo: un torneo ad eliminazione diretta». Si aggiunge poi, con sagacia e usando l'ironia come un rasoio, un altro ragionamento di Ainis: «Dovrebbe essere al centro della consultazione, ed è così, quantomeno a parole. Sennonché in questo caso non si tratta di proteggere l'udito dei cetacei minacciato dall'air-gun, come sostengono le associazioni ecologiste; tutto sommato non si tratta nemmeno d'opporre ambiente e occupazione, come prospettano i sindacati. No, la posta in palio investe la credibilità delle classi politiche regionali, che rifiutano la trivellazione, però allevano i colibatteri nelle acque dell'Adriatico, disinteressandosi dei depuratori così come di controllare i fiumi. E investe perciò il progetto stesso d’una politica ambientale, lungimirante, coerente, complessiva, dove ci sia anche spazio per le energie rinnovabili. In Italia coprono il 17 per cento dei consumi; in Norvegia, Islanda, Svezia, oltre la metà. Non a caso "Avvenire", per sposare il referendum, ha richiamato le parole di Bergoglio, il monito papale contro le tecnologie basate sui combustibili. Il 17 aprile voteremo anche sul Papa». Al di là delle battute, con fondo di verità, io penso che - anche se dubito che il quorum sia facile da raggiungere in assenza per altro di vere campagne informative - che il tema sia degno di attenzione. Nella mia ottica soprattutto perché sulle trivelle c’è stato il diktat dello Stato sulle volontà locali e anche noi potremmo avere in futuro brutte sorprese dal disegno centralista di Matteo Renzi, ben visibile nella riforma costituzionale, che sarà un prossimo referendum!