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05 mar 2016

Un libro che turba la narrazione renziana

di Luciano Caveri

Immagino che a Matteo Renzi il recentissimo libro, intitolato "Così le statistiche condannano l'Italia" (Einaudi), scritto dal giornalista Antonio Galdo, non piacerà affatto, perché turba quel copione fatto di ottimismo ad ogni costo e incrina quella tournée infinita in tutta Italia, toccando ogni settore possibile della società italiana in una lunga campagna elettorale (prima o poi un passaggio elettorale gli toccherà...). Scrive l'autore nell'Introduzione: «In Italia soffia un vento promettente di voglia di cambiamento e di modernizzazione. Incrociarlo, è la nostra occasione. Per riuscirci, però, non possiamo sentirci rassicurati e gonfiare il petto attraverso una narrazione del Paese distante dalla realtà, piegata alle leggi della propaganda politica e scollegata dall'analisi dei fatti. Mentre si interviene sul malato, mentre si prova a scrivere un'agenda di governo che comprenda un'equilibrata modernizzazione dell'Italia, è bene intendersi sulla diagnosi e sulla terapia, anche con la certezza delle statistiche. I numeri, avvertiva Platone nella sua "Repubblica", sono essenziali per i governanti perché li aiutano a ragionare, a dare un'anima al loro progetto. E la conoscenza è il primo passo verso la nostra salvezza».

Si comincia con "Il futuro dietro di noi" e la tragicità dei numeri sulla condizione dei bambini in Italia e con la misera situazione, più in generale, di scuola ed università, fatta di numeri tristi e deludenti. Seguono carotaggi su previdenza e mondo del lavoro, altrettanto depressivi. Si prosegue con "Poca innovazione e tanti soldi sotto il materasso" sull'economia, dal sistema produttivo al baratro della ricerca, dal crollo dei brevetti al Mezzogiorno alla deriva. Ciliegina sulla torta il turismo che crolla... C'è, nel terzo capitolo, "Il prezzo della corruzione" con ampi capitoli su sanità (con un dato non lusinghiero per i costi in Valle d'Aosta), giustizia, appalti truccati ed altre storie. Esemplare le autostrade, di cui cito un passaggio illuminante: «La rete autostradale italiana, 6.700 chilometri dei quali l'87 per cento con pedaggio, è stata quasi interamente costruita con il denaro dello Stato, mentre i dividendi dei biglietti vanno quasi tutti nelle tasche dei privati, le ventisei società titolari delle concessioni. Una cuccagna. Nell'assoluto silenzio di tutte le Autorità di garanzia e di una classe politica connivente con i "signori delle autostrade", abbiamo assistito allo scandalo di questo bengodi autorizzato per legge. Nel 1999 si decise di privatizzare la rete, cedendo per una manciata di soldi, appena sette miliardi di vecchie lire, al gruppo "Benetton" la parte più importante e remunerativa del percorso. Intanto le concessionarie sono andate avanti stipulando con l'Anas contratti, tutti secretati, a lunga scadenza, anche trentennale (laddove l'Unione Europea prevede un massimo di cinque anni per le concessioni), a trattativa privata e quindi senza alcuna gara pubblica, e completamente sbilanciati a favore delle società private. Il risultato è un regalo di Stato, denunciato da un'indagine conoscitiva della "Banca d'Italia" che mette nero su bianco i termini della cuccagna. Ciascun chilometro di autostrada genera ricavi per oltre 1,1 milioni di euro (il valore più alto in Europa): solo 300.000 euro vanno allo Stato, mentre gli altri 850.000 vengono incassati dalle concessionarie. Si è passati così dai 2,5 miliardi di ricavi da pedaggi del 1993, quando la rete era controllata dallo Stato, agli attuali 6,5 miliardi di euro, nonostante la diminuzione del traffico automobilistico». Noi valdostani siamo vittime più degli altri di questa corsa al rialzo delle tariffe. Vi risparmio la parte sulla spazzatura (con un'inesattezza sulla Valle d'Aosta), sul miraggio dell'Italia digitale e sulle tante paure che chiudono il libro, compresa un'Italia che - ovvio paradosso - non conta più neppure nel calcio. Le fonti dei dati statistici, che ci spingono in fondo a troppe classifiche, sono ben elencati alla fine, segno del lavoro certosino. Insomma una lettura utile, quella di questo libro, che non fa sconti, ma illumina su quanto ci sia da fare per non affondare ancora, rialzando la testa.