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17 feb 2016

Quel parlamentarismo che agonizza

di Luciano Caveri

Conoscendo il diritto parlamentare, per averlo studiato e praticato, seguo con curiosità l'evoluzione dei lavori del Parlamento italiano, che immodestamente credo di conoscere bene. Con il Governo di Matteo Renzi, si sono accentuati i tentativi di ridurre al minimo il peso delle Camere, tant'è che la "produttività" di questa Legislatura ha un tasso ridicolo rispetto al passato. Bastano le cifre a dimostrarlo, qualunque altro giudizio si voglia dare. Ma soprattutto il giovane Premier adopera tutti gli strumenti possibili per ridurre l'attività parlamentare ad un "flatus vocis", spostando sempre più sulla Presidenza del Consiglio le decisioni topiche. Questo vuol dire uso del decreto legge, delle leggi delega, dei voti di fiducia, di strumenti anti-ostruzionismo come riduzione drastica dei tempi e robe come "tagliole" o "canguri".

Lo si dovrebbe fare nel nome della velocità e dell'efficienza, mentre in realtà esiste un disegno vagamente autoritario, che ritiene in sostanza certe tempistiche e logiche regolamentari come una sonora rottura di scatole. Per altro la dimostrazione che non sbaglio sta nella riforma costituzionale su cui si esprimeranno gli italiani in autunno: trattasi della fine del Bicameralismo, con un Senato vuoto ed una Camera che - con l'Italicum - non vedrà più un'opposizione con un ruolo. Aggiungiamoci poteri maggiori per il Governo con diversi strumenti e la mortificazione della democrazia locale e il pacco è confezionato e non basta il bel viso di Maria Elena Boschi, fatina delle Riforme, a dimostrare il contrario. E' una situazione che mi intristisce, così come il gran calderone di maggioranze che hanno tradito le urne, sempre nel segno del «momento difficile» e della «necessaria solidarietà e coesione».
Il caso delle "unioni civili" di queste ore dimostra quanto caos ci sia dentro i partiti e nella logica di maggioranze variabili, a seconda delle necessità, tanto da creare alla fine una confusione per nulla foriera di difesa della democrazia rappresentativa. Tutta acqua al mulino di chi, in modo spregiudicato, occupa certi gangli vitali per disegni che - a pensar male - non porteranno nulla di buono. Anche chi è ottimista, come me, vede nero, oltretutto con un'Europa ridotta in mille pezzi ed un regionalismo già rassegnato - Valle d'Aosta compresa, con il suo bilancio dimezzato - a prendersela nella giacca. Tempi cupi, insomma, ma sembra che nel nome del "bon ton" e di un fatalismo degno di miglior causa si digerisca ormai tutto. Le proteste sono mortaretti o peti destinati a svaporare. Peccato.