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13 gen 2016

Anche i tedeschi non sono infallibili

di Luciano Caveri

Non ho mai avuto un particolare penchant filotedesco, ma neppure logiche infantili di partito preso. Nella mia esperienza in Europa ho sempre trovato i germanici piuttosto rigidi e sicuramente impegnati in un lavoro scientifico di occupazione di alcuni posti cardine nelle strutture comunitarie o direttamente o con persone amiche di nazionalità diversa. Questo non solo per demerito loro, ma per incapacità altrui. Ognuno in politica riempie gli spazi che altri lasciano liberi e chi poi se ne lamenta rischia di fare brutte figure. Quando mi sono trovato a fare il presidente della Commissione trasporti e politiche regionali al Parlamento europeo - ruolo significativo per i dossier che passano all'esame - non nego di avere notato in alcuni membri della Germania qualche pregiudizio nei miei confronti, come se al Sud delle Alpi fosse assegnata, come una maledizione, un'attitudine levantina e furbesca, oltreché una propensione a prendere la vita al rallentatore.

Poi, nel lavoro, mi ha fatto piacere sgombrare certe preclusioni ottuse, ma con "galloni" conquistati sul campo e non a parole. Quando me andai da Bruxelles ebbi attestati di stima anche dai tedeschi e francamente le considero delle medaglie. Questo non significa affatto prendere tutto per buono. Nel senso che, come ho già avuto modo di scrivere, passato per scadenza storica quel tempo ragionevole di complessi che derivavano dalla vergogna del Nazismo e della sua vasta adesione popolare, e riunite le due Germania - una ferita storica terribile e lacerante - i tedeschi sono partiti come dei razzi a conquistare terreno ed autorevolezza in una logica di presenza e di approfondimento dei temi. Direi che uno dei punti forti è che su certe questioni europee fanno sistema, al di là delle posizioni dei propri Gruppi politici nel Parlamento europeo, mentre altri - tipo gli italiani -esportano la logica da pollaio e dunque perdono terreno e credibilità, anche a causa di posizioni governative che appaiono spesso assai flou. Ma è vero che, per battere il naso rispetto al famoso detto "Ogni mondo è Paese", c’è voluto il "caso Volkswagen" e la scoperta che alcune auto venivano "taroccate" per migliorare le prestazioni ambientali rispetto ai limiti alle emissioni. Come proprietario di una "Audi" non ho messo molto a capire che il mio diesel fosse nell'elenco dei motori "incriminati", ma la certezza l'ho avuta chiedendo io presso il concessionario e ricevendo più tardi, cioè solo poche settimane fa, una lettera in cui me lo annunciano ufficialmente, spiegandomi che sarò chiamato fra qualche settimana per un intervento gratuito con cui rimetteranno a norma la centralina alterata. Trovo la comunicazione ben più fredda e anonima dei periodici contatti telefonici con cui si chiede al consumatore il suo grado di soddisfazione o la pubblicità con cui si annunciano campagne a vantaggio dei clienti. Stupisce la sciatteria con cui la questione - delicatissima, perché si sfiorano la truffa ed altri reati - è stata trattata e devo dire la verità che, al di là dell'insoddisfazione, è come se si fosse aperta una crepa in un antico rapporto fiduciario con le marche tedesche, la cui solidità era indubitabile. Ma in generale, così come nel caso ben più grave politicamente dell'accelerazione ed improvviso "stop" sui migranti (persino prima delle tragiche vicende della "caccia alle donne" di Colonia), mi pare che si incrini proprio quel livello di efficienza che nasconde evidentemente delle fragilità di cui sarà bene tenere conto. Non si tratta, naturalmente, di fare gli spacconi in Europa, perché l'Italia resta un soggetto a rischio sotto molti profili di inadempienza, ma forse di rendersi conto che nella logica della visione comune dell'integrazione comunitaria non si può giocare nelle classifiche facilone fra buoni e cattivi. L'Unione europea è un equilibrismo che richiede pazienza e comprensione fra i partner, ognuno con i propri pregi e - da correggere - con i propri difetti.