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01 gen 2016

L'Europa e l'ossessione della Concorrenza

di Luciano Caveri

Seguo con curiosità il nuovo fronte di polemica che Matteo Renzi ha lanciato contro il presunto e in parte reale strapotere della Germania in Europa e le parallele lamentazioni del presidente del Consiglio verso le Istituzioni comunitarie ed il lavoro di controllo effettuato dalla Commissione verso gli Stati sul rispetto dei Trattati. Nella logica già praticata più volte nelle sedi europee secondo la quale «la miglior difesa è l'attacco», Renzi - in evidente difficoltà per la crisi di alcune banche e le conseguenze sui risparmiatori coinvolti - ha scelto la strada popolare e guascona del sentimento anti-tedesco (ma Berlino si è fatta spazio anche nel vuoto altrui) e del livore anti-europeista di facile presa per riacciuffare pezzi di popolarità perduta, assieme - altro escamotage per piacere di più - ad una campagna interna di "taglio del nastro", saltando da una Regione all'altra, che da anni non si vedeva.

Rispetto all'Europa, uno dei temi più caldi riguarda il compito che Bruxelles svolge in difesa dei principi di concorrenza per evitare che il denaro pubblico falsi le regole di funzionamento del mercato. Questa rigidità ha pesato sulle conseguenze dei crack bancari e peserà sull'altro dossier caldo del denaro statale per il salvataggio dell'"Ilva" di Taranto e si sa che sul siderurgico le regole sono draconiane. Certo la questione dell'interventismo in materia economica di Bruxelles è davvero come scoprire l'acqua calda ed è - sotto il profilo del mito del Mercato che agisce e si regola da solo - imbevuto da una visione rigida su qualunque intervento pubblico e da troppo entusiasmo per privatizzazioni e liberalizzazioni, con il difetto - di certo in Italia - di regole e controlli carenti che fanno scappare i buoi dalla stalla. Renzi dovrebbe risalire al perché il "dio mercato", come idolo della modernità, sia nato e si sia sviluppato da Destra verso Sinistra. Anni fa nei ricordai una parte della genesi. Nel 1973 la Gran Bretagna entrò nell'Unione europea sotto il premier conservatore Edward Heath. Un fatto storico, vista la vecchia storia - non esaurita neppure oggi - degli inglesi di sentirsi distantissimi da noi "continentali" e tra poco un referendum potrebbe persino sancire un nuovo distacco. Ma chi ha davvero marcato, per gli anni ininterrotti di premierato (1979-1990), i rapporti con l'Europa è stata Margaret Thatcher, la "lady di ferro" che marcò così tanto il suo ruolo da dar vita ad un fenomeno politico che le sopravviverà, il "Thatcherism - Thatcherismo". Dice la "Garanzantina", brillantissima nella sintesi: «Margaret Hilda (1925) donna politica inglese. Leader del partito conservatore dal 1975, primo ministro dal 1979. Seguì una linea di rigido liberismo interno (privatizzazioni, scontro con i sindacati, riduzione del "welfare ­state") e di sintonia con gli USA sul versante estero. Riconquistò con un intervento militare alcune isole britanniche invase dall'Argentina (guerra delle Falkland, 1982). Le sue deboli convinzioni europeiste furono tra i motivi della caduta di consenso nel suo partito, fino alle dimissioni (XI-1990)». Capite: un'euroscettica per definizione, nel suo impatto con l'Europa, riuscì a prendere prigionieri (delle sue idee) una buona parte del funzionariato europeo e persino un grande esponente europeista e socialista com'è stato Jacques Delors, sdoganò anche in campo socialista certe tendenze. Si afferma così questa idea del mercato buono con mano invisibile mirabile, il mito della concorrenza come principio algido, gli "aiuti di Stato" come fantasmi sempre brutti e cattivi, le liberalizzazioni e le privatizzazioni già citate come panacea contro gli eccessi del Welfare divenuto una piovra (e eccessi di certo ce ne sono stati e ci vogliono mea culpa), causa dell'indebitamento combattuto con regole cogenti del "patto di stabilità" e di "governance economica". Prese in piccole dosi certe chiavi di lettura ci stanno, oltre si piomba in una logica di ultraliberismo e di regole applicate senza buonsenso. Si sa dove si comincia ma non si sa dove si potrà finire, specie se l'ossessione diventa il risparmio come strada maestra. Ho visto come questa "moda" si sia diffusa largamente e troppo spesso a Bruxelles si viva quel lascito del "thatcherism" senza dubbi e scrupoli. Strana storia, che costringerebbe a resettare una volta per tutte i burocrati europei, che sembrano fermi a idee di molti anni fa, pur sotto nuove vesti riformiste. Oggi Renzi attacca Bruxelles su certi argomenti, ma in Italia scimmiotta scelte europee trasferendole nell'economia interna, ad esempio nei servizi pubblici - penso a sanità e trasporti - colpiti pesantemente e con le Regioni e i Comuni strangolati dal "patto di stabilità" e dal "vangelo" della "spending review". E allora appare evidente una certa schizofrenia politica all'italiana in cui si dice e si fa di tutto e il suo contrario.