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05 nov 2015

L'exit strategy

di Luciano Caveri

Fra osservare una realtà che non ci piace e pensare di modificarla ci possono essere in mezzo dei tentennamenti. Ad esempio può venire la tentazione di adoperare l'arma del rinvio per non sporcarsi le mani, oppure vi può essere la speranza che, malgrado l'inazione, ci sia comunque una sorta di giustizia intrinseca, un equilibrio naturale o persino divino che prima o poi riporti le cose al suo posto. Temo che non sia così semplice e per chi desideri i cambiamenti bisogna muoversi ed impegnarsi, perché nessuno regala nulla a nessuno e non basta la forza del pensiero o la prece. Quante volte ormai sentiamo adoperare il termine anglofono "exit strategy", che - da un suo uso di origine guerresca in scenari militari pericolosi da cui è meglio trovare un modo per sganciarsi - è poi penetrato nel linguaggio giornalistico.

Si tratta, adoperato anche rispetto alla politica e alle sue scelte, delle modalità per ritirarsi dal luogo di un conflitto fattosi delicato e persino perdente, contenendo i danni (sia materiali che d'immagine). Una "ritirata ragionata", insomma, o anche un modo per trovare una rispettabile via di uscita per non perdere la faccia. Penso ogni tanto alla situazione della politica valdostana e delle conseguenze che ricadono sulla vita dei cittadini attraverso le istituzioni democratiche e le strutture amministrative. Le cose vanno malissimo e, al di là delle punte polemiche e del naturale contrapporsi fra maggioranza e opposizione, sembra tristemente affermarsi una situazione di stallo che sta facendo arretrare l'economia e svuota fondamentali conquiste del famoso Stato Sociale made in Valle d'Aosta. Esemplare è in questo senso la pericolosa rassegnazione rispetto al fatto che «le cose vadano male» in uno scenario che giorno dopo giorno trascende ormai da preoccupazioni e ammonimenti sul futuro dell'Autonomia valdostana, perché la malattia sta attaccando i gangli vitali dell'esistente. A preoccupare ancor di più sono le reazioni di chi governa, riassumibili come si dice in una celebre espressione filosofica di origine medioevale nella espressione "flatus vocis", cioè discorsi privi di consistenza o promesse che non hanno seguito. Con il fantastico fenomeno tutto valdostano, specie ora che le casse regionali sono vuote per l'incapacità di gestire i rapporti con Roma sull'ordinamento finanziario, di periodici annunci disastrosi per la popolazione - l'ultimo caso sono gli asili nido - che vengono rimangiati a furor di popolo e con le battaglie di chi è in minoranza. L'esito finale è che chi aveva combinato il patatrac si fa bello perché si è rimangiato, obtorto collo, quanto già aveva deciso con convinzione. Come se un boia che sta per tagliarti la testa venisse dissuaso, con suo dispiacere, dal suo gesto e pretendesse pure di essere festeggiato! Per tutto questo l'exit strategy appare sempre più indispensabile per cercare di rimettersi in piedi e per trovare nuove strade per governare, senza fare piagnistei o avere rimpianti inutili. Guardare avanti appare sempre la soluzione migliore, ma avendo la necessaria memoria dei fatti, perché - come dice Publilio Sirio - «è da stolti lamentarsi nelle avversità quando è colpa tua!». Per cui chi oggi partecipa a certe lamentazioni non è sempre in buona fede, se ne è stata causa. Ma neppure si può accettare che la situazione attuale sia inamovibile e si debba aspettare qualche cambio di scenario extrapolitico, che sia la Magistratura o lo scattare del limite dei mandati per chi sia nell'Esecutivo. Qui il tempo stringe e ogni giorno siamo investiti da novità preoccupanti che obbligano a reazioni rapide e ragionevoli per evitare ulteriori danni e complicazioni. Insomma: una exit strategy condivisa, nel limite del ragionevole, per il bene della Valle d'Aosta.